«La cancelliera Angela Merkel ha disdetto il previsto incontro con il primo ministro italiano Beppe Grillo dopo l’ennesimo no di Roma alla richiesta di riforme avanzata da Berlino». Un incubo realistico? Un sogno irrealistico? Il punto è un altro: ma se Mario Monti dovesse fallire, leggeremo notizie come questa?
Che succede infatti se, dopo aver stretto la cinghia, dopo aver alzato le tasse e riformato le pensioni, non accade nulla e continuiamo a pagare interessi proibitivi sul nostro debito con le banche che non riescono a fornire credito a imprese e cittadini e la disoccupazione che continua a salire? Che succede se l’Unione europea diventa agli occhi dell’opinione pubblica italiana, solitamente euro entusiasta, la causa del nostro male anziché la sua soluzione? Che succede se il loden cessa di essere il simbolo della competenza e diventa quello di un’inefficacia tra l’altro ben poco democratica?
Il primo a farsi queste domande è lo stesso Monti che in un’intervista al Financial Times è tornato a insistere con Berlino: o ci aiutate o ci potranno essere ripercussioni violente sull’elettorato. I dati Ipsos pubblicati giovedì scorso dicono che il consenso degli italiani verso l’idea europea sta calando in maniera notevole e, in un solo anno, si è passati da un’approvazione del 74% ad un pericoloso 53%.
D’altra parte le ricette dell’Europa stanno solo peggiorando la situazione e un’implosione del credito nel Vecchio Continente è una possibilità sempre più vicina, come ricorda Bill Gross, il fondatore di Pimco, il più grande fondo obbligazionario al mondo. «La sofferenza la accetti se sei capace di darle un senso» diceva un signore tedesco del secolo scorso. Ma se quel senso viene a mancare, allora anche l’accettazione del dolore che le riforme immancabilmente portano, diventa più complicata. Vale a dire: meno il suo operato sarà economicamente efficace, più la strada per Monti diventerà politicamente impervia e, più diventerà impervia, meno sarà efficace.
Lo spazio per una retorica anti euro si sta pericolosamente allargando. Anche chi ha apprezzato la serietà del professore di Varese potrebbe presto trovarsi imbarazzato nel continuare a difenderlo. Non sappiamo ancora con esattezza quando si voterà, ma davanti ad un’assenza di risultati tangibili, un partito che iniziasse a fare campagna su temi anti Europa e anti euro troverebbe parecchie orecchie pronte ad ascoltarlo.
Se la Lega non va gambe all’aria, e se gli elettori riescono a dimenticare che è stata al governo fino a ieri, allora potrebbe trarne un grande vantaggio. Ancora di più potrebbe fare il Movimento 5 Stelle di Grillo che invece può giocare la carta della verginità (per definizione giocabile una sola volta). Ma anche un Pdl che ha fatto un passo indietro in nome della salvezza nazionale potrebbe trarre vigore da una forte polemica anti-euro. D’altra parte: se poi la salvezza non arriva, allora perché quel passo indietro di metà novembre? Sembra già di sentire un comizio di Berlusconi in cui si invoca il ritorno alla lira e alle svalutazioni competitive.
Uno scenario evocato di recente dall’economista Luigi Zingales che cita uno studio dell’American Economic Association sulle crisi finanziarie molto interessante perché focalizzato sulle conseguenze politiche dei default. Gli autori ne hanno analizzate una serie e i risultati si possono sintetizzare così: dopo le crisi bancarie, tende ad aumentare l’estremisimo di destra perché questo tipo di crisi tende a concludersi con nazionalizzazioni. Dopo le crisi debitorie, invece, tende a prevalere l’estremismo di sinistra perché in genere si crea una forte domanda di remissione del debito, di solito più favorita a sinistra.
Solo che lo studio, sottolinea Zingales, analizza maggiormente le crisi del debito privato mentre quelle del debito pubblico sono più vicine ad un’esplosione dell’inflazione perché entrambe comportano un esproprio forzoso di parte della ricchezza dei creditori. E, se il paragone è corretto, allora la crisi del debito pubblico tende ad avvantaggiare l’estrema destra, come accadde con la Repubblica di Weimar all’inizio del secolo scorso.
Insomma, un successo di Monti rafforzerà il centro come un suo fallimento darà forza alle ali estreme. Se Angela Merkel vuole vincere le elezioni dell’anno prossimo le converrà aiutare Monti. Perché un’ Europa dove al governo in Italia siede Beppe Grillo o un Silvio Berlusconi redivivo in chiave anti euro, è un’Europa dove la volontà tedesca farà sempre più fatica ad affermarsi: una prospettiva che spetta soprattutto a lei non rendere allettante.
Articolo ripreso da linkiesta.it