La nuova politica energetica degli Stati Uniti per il Ventunesimo Secolo

Con il Global Shale Gas Iniziative, gli Stati Uniti hanno varato un ambizioso piano di rivoluzione energetica destinato a cambiare il destino del mercato energetico non solo statunitense, ma addirittura del resto del mondo.
Lo shale gas, una sorta di metano non convenzionale, è un gas naturale imprigionato all’interno di una roccia impermeabile (shale in inglese significa scisto) che funge da serbatoio. Grazie ad innovazioni tecnologiche come il fracking (perforazione orizzontale con fratturazione idraulica) questo tipo di gas sta diventando molto conveniente sul piano economico in termini di estrazione.
Le più recenti proiezioni parlano di una distribuzione uniforme in tutto il pianeta di bacini potenziali di shale gas, Europa compresa, la quale potrebbe anch’essa investire in proprio per lo sviluppo della industria estrattiva all’interno dei propri confini. Grazie allo sfruttamento massivo dei propri giacimenti di shale gas, gli USA sono proiettati a diventare il maggiore produttore di gas naturale al mondo entro pochi anni, imponendosi anche come principale esportatore di gas.
Il maggiore detentore di riserve dello shale gas sono infatti gli Stati Uniti, che detengono la maggior parte delle riserve mondiali con 132 miliardi di metri cubi; in Asia, in particolare in Cina, ve ne sono circa 100 miliardi, 74 miliardi in Oceania e 72 in Medio Oriente e Nord Africa. Anche l’Europa ha la sua piccola riserva, con circa 15,5 miliardi suddivisi tra Europa occidentale ed Europa orientale.
Oltre allo shale gas si affianca in parallelo anche lo shale oil ovvero il petrolio che si ricava con le nuove tecniche di trivellazione, che frantumano l’argilla e consentono di raccogliere anche il greggio conservato nei pori delle rocce impermeabili. Nel 2020, gli Stati Uniti potrebbero scavalcare l’Arabia Saudita come maggior produttore di petrolio, un terremoto, non solo economico, che sembra affrancare gli USA dalla dipendenza dal Golfo Persico e spingere i produttori dell’OPEC nelle braccia dell’unico cliente assetato rimasto: la Cina. Ma, mentre l’insaziabile sete di energia dell’industria cinese ha arroventato la domanda, spingendo i prezzi del greggio a livelli impensabili, la nuova politica energetica di affrancamento statunitense è destinata a ridare fiato alle sfittiche economie avanzate dell’Occidente.
Lo sfruttamento strategico dello shale and oil gas da parte degli USA sta infatti gettando le basi per una nuova rivoluzione industriale destinata a oscurare la Cina come fabbrica del mondo. La competitività del gigante asiatico, già messa alla prova dall’aumento dei salari e dagli elevati costi di trasporto che gravano sull’export delle sue merci, viene sempre più frenata anche dal costo elevato delle materie prime e in particolare dei combustibili: un problema che sta invece diventando sempre meno assillante per l’industria americana, che potrà godere dei costi energetici tra i più bassi nel mondo.
Il secondo mandato di Obama infatti è incentrato proprio sulla riduzione della dipendenza dall’estero e sulla sicurezza energetica (pesano ancora tanto a riguardo le conseguenze ed i danni dell’incidente causato alle coste americane dalla British Petroleum con la piattaforma offshore Deep Water Horizon). Per questo motivo è diventata priorità nazionale la produzione di energia da fonti interne incentivando e massimizzando i giacimenti offshore in Alaska e nel Golfo del Messico.
Lo sviluppo delle attività estrattive di risorse non convenzionali (shale gas and oil) sta infatti portando ad un avvicinamento geografico tra il luogo di produzione e quello di consumo, rendendo sempre meno necessario il trasporto di gas e petrolio su lunghe distanze, con evidenti vantaggi sia nel campo della sicurezza energetica che nella ottimizzazione e razionalizzazione dei costi di produzione.
Nel futuro che ci attende i prossimi cinque/sette anni potrebbero pertanto essere in discussione le proiezioni sulla leadership mondiale che avevano sempre messo la Cina come unico e vero player dominante dell’economia planetaria nei successivi decenni. Le scelte strategiche della nuova politica energetica statunitense e la volontà del governo americano di portarle a regime in pochi anni, impatteranno moltissimo sul vigore e sulla competitività del tessuto produttivo e manifatturiero statunitense consentendo a quest’ultimo di riacquistare slancio e dinamicità nei confronti della concorrenza asiatica. Sul fronte opposto, invece, in Europa manca completamente una regia unitaria e soprattutto una proiezione a dieci anni su quelle che dovrebbero essere le priorità comunitarie.
Articolo da eugeniobenetazzo.com – Autore: Eugenio Benetazzo