Molti lettori e giornalisti di altre testate mi chiamano o mi scrivono per chiedermi quando finalmente ci sarà la crescita e la ripresa, non solo quella economica dei consumi e dei fatturati, ma anche quella dei listini di borsa (intendendo quelli europei, tedesco escluso), quella del mercato immobiliare e la risalita dei tassi di interesse. Risposta: nell’anno mai.
Provate a soffermarvi un momento su quanto accaduto in questi ultimi cinque anni, nel 2008 abbiamo avuto l’accentuarsi della crisi dei mutui subprime ed il fallimento della Lehman Brothers: vi hanno detto che la ripresa sarebbe arrivata a fine 2009 dopo i vari interventi di bail-out. Nel 2009 abbiamo avuto il crollo del PIL per tutto il mondo delle economie avanzate (in Italia oltre il 4%), sono state ipotizzate le exit strategy e le politiche di risanamento di bilancio: vi hanno detto che la ripresa sarebbe arrivata nel primo semestre dell’anno successivo.
Nel 2010 abbiamo avuto la Grecia con l’innesco della crisi del debito sovrano: vi hanno detto che la ripresa sarebbe arrivata con l’inizio del nuovo anno. Nel 2011 abbiamo avuto l’intensificarsi della debolezza in Europa con la tempesta che ha colpito i governativi in Europa: vi hanno detto che la ripresa sarebbe arrivata a breve.
Nel 2012 hanno implementato e sono andate a regime le tanto famigerate politiche di austerity che hanno depresso ancora maggiormente l’economia: vi hanno detto che la ripresa e la crescita sarebbero arrivate nel corso del 2013. Recentemente abbiamo sentito il Ministro dello Sviluppo Economico, Flavio Zanonato, affermare che ormai siamo ad un punto di non ritorno e che per la nostra economia ormai è iniziato il conto alla rovescia se a breve non si creerano gli stimoli oggettivi per la competitività delle nostre imprese e per la pressione fiscale.
Mario Draghi ha da poco lasciato invariato il tasso di sconto, ormai ai minimi storici (0.5% per chi ancora non lo sapesse), nella convinzione e constatazione di un ulteriore allontanamento della ripresa, adesso si parla di secondo semestre del 2014. Anche la Banca Centrale Europea è ormai allineata, seppur con più disciplina e lungimiranza, rispetto alle altre banche centrali a mantenere i tassi a livelli molto bassi nella speranza che questo possa servire come ricostituente alla ripresa. In vero per quante manovre ultra espansive si vogliano proporre i risultati sembrano non arrivare. L’inflazione rimane sotto controllo e i consumi non accennano ad avere abbrivio.
In compenso continua la moria di piccole e medie imprese a colpi di 50/60 al giorno in Italia, in parallelo alla fuga dei capitali, tanto istituzionali quanto familiari. Senza dimenticare i continui episodi di cronaca a sfondo tragico da cui trapela uno stato di esasperazione da parte dei più deboli della popolazione.
Draghi lo ha ulteriormente ribadito, quasi fosse un monito all’attuale esecutivo, senza una domanda interna corposa e rinvingorita non è concepibile né una ripresa e né una crescita nel breve periodo. Gli fanno da contorno anche le associazioni di categoria come Confindustria che allertano di come per l’Italia vi sia il rischio concreto di perdere per sempre un patrimonio secolare in cultura e tessuto imprenditoriale. tanto industriale quanto artigianale, che non sarà mai recuperabile.
Le stime dell’OCSE in tal senso non sembrano affatto immaginare il futuro, ipotizzando l’Italia al quindicesimo posto in classifica mondiale per il 2020, con una perdita di nove posizioni in termini di produttività industriale. Cosa serve daltronde al paese non è una novità: mercato del lavoro flessibile e dinamico, ridimensionamento del costo della pubblica amministrazione (con ovvi benefici in termini di fiscalità diffusa) e riqualificazione della spesa pensionistica e sanitaria.
Tradotto per l’uomo della strada significa mettere fine alla dittatura dei sindacati e all’ingerenza dei vari enti locali nella vita economica tanto delle imprese quanto dei contribuenti, tagliare alcune tipologie di pensione e meritocrarizzare la fruizione delle coperture sanitarie di base. A dirlo è facilissimo, a farlo un po’ meno. L’Italia è un paese cristallizzato su rendite di posizione e protezionista nei confronti di categorie di lavoratori che per decenni sono state generatori di consenso elettorale.
Persino il Ministro Cancellieri è stato di recente attaccato dalla casta degli avvocati per aver espresso delle esternazioni (tra l’altro condivisibilissime) sull’essenza della loro categoria professionale, rea di boicottare le riforme che servono al Paese. In Italia è impossibile modificare l’attuale status-quo o ridimensionare il ruolo di un certo establishment: è impossibile farlo attraverso metodi democratici ed ortodossi, guardate che cosa è accaduto con le Province, prima diminuite dal Governo Monti con il famoso Decreto Salva Italia e reintegrate in questi giorni per ordine della Consulta per ragioni di manifesta incostituzionalità. Mentre le istituzioni della Repubblica continuano a giocare all’allegro chirurgo, l’outlook del paese peggiore in continuazione, senza speranza alcuna di ripresa: temo a questo punto che quanto visto in Egitto non sia così distante dal verificarsi anche in Italia.
Articolo di Eugenio Benetazzo, ripreso dal sito eugeniobenetazzo.com