Problema: come traghettare la miriade di carte di plastica che affollano i portafogli del cittadino medio e che servono da carte di credito, di debito, raccolta punti, verso la virtualizzazione o smaterializzazione, che è una delle tendenze dominanti della finanza e non solo?
Soprattutto, come riuscirci senza perdere la praticità d’uso nel mondo fisico, che è il grande vantaggio delle carte di plastica ?
La partita è cruciale e molti sono i giocatori, giganti affermati e start-up, che hanno deciso di partecipare. Un approccio seguito da molti player affermati è estendere verso il mondo fisico gli esistenti wallet, gli aggregatori di strumenti di pagamento utilizzabili solo per transazioni online.
Un caso classico è Google con il suo Google Wallet, che permette di utilizzare un cellulare dotato di comunicazioni NFC (Near Field Communication) per effettuare pagamenti presso gli esercenti collegati. Però Google offre anche una propria carta di debito, la Wallet Card, che viene accettata nel circuito MasterCard. Google Wallet è operativo solo negli Stati Uniti. Lo sarà invece ovunque è disponibile PayPal il PayPal Beacon, che permette di utilizzare PayPal nel mondo fisico attraverso BLE, la versione di Bluetooth a bassa energia per comunicazioni a cortissimo raggio. Il merchant deve però dotarsi di un piccolo ricetrasmettitore BLE, simile a una chiavetta USB, e del software di gestione. PayPal sta lavorando con una dozzina di produttori di POS per integrare la tecnologia BLE direttamente nel terminale. Giova ricordare che anche Apple ha introdotto un suo sistema di comunicazione iBeacon basato su BLE a partire dagli iPhone 4S.
I tradizionali operatori finanziari si stanno anch’essi muovendo. MasterCard ha lanciato il suo MasterPass, un wallet solo per l’online, anche in Italia e probabilmente entro l’anno utilizzerà l’NFC per “agganciarlo” al mondo fisico. Lo stesso stanno facendo gli operatori di telecomunicazioni mobili, anche se probabilmente le loro soluzioni si appoggeranno più sulla rete cellulare che sull’NFC. Sarà quindi interessante vedere se le telco occidentali seguiranno il modello di una delle soluzioni di mobile payment e wallet totalmente virtualizzata di maggiore successo a livello mondiale, M-Pesa, che spopola in Kenya usando proprio la rete cellulare, oppure se renderanno la strada dell’ Osaifu-Kētai (portafoglio mobile) di NTT-DoCoMo, che ha il monopolio di fatto in Giappone e si basa sulla tecnologia RFID a breve raggio Mobile FeliCa di Sony.
Ma un’intera classe di wallet, disponibile per la maggior parte solo negli Stati Uniti ma anche in maniera crescente in Europa, ribalta il concetto e punta a imitare in modo più fedele il tradizionale portafoglio fisico. In questi wallet “dal basso” la conservazione dei dati delle carte, che possono essere di qualunque tipo, anche loyalty e reward, che normalmente (Osaifu-Ketai è un’eccezione) sono esclusi dai wallet, avviene direttamente in locale.
Le informazioni delle carte vengono inserite su di uno smartphone tramite un minilettore che si inserisce nel jack audio delle cuffie. A questo punto, esistono diverse soluzioni per effettuare pagamenti nel mondo fisico. Coin, una delle start-up di tecnologia per la finanza più famose negli Stati Uniti grazie ad una campagna pubblicitaria online martellante, usa una carta elettronica dello stesso formato di una plastic card su cui dallo smartphone vengono scaricati i dati delle carte di credito. La carta elettronica è dotata di un minidisplay e di un pulsante che permette di scegliere quale carta debba essere attivata per una singola transazione.
La carta Coin mantiene il contatto con lo smartphone dell’utente tramite una connessione BLE e se perde i contatti per più di dieci minuti si blocca. La tecnologia chiave è una striscia magnetica dinamica, che può cambiare contenuto a comando. L’elettronica della carta viene alimentata da una batteria al litio della durata di due anni. Nella versione di Coin che inizia ed essere distribuita in queste settimane la batteria non è ricaricabile o sostituibile, e questa è una delle critiche che vengono fatte al prodotto. Altre, che riguardano la sicurezza dei dati a ben guardare sono comuni a tutte le carte di credito a striscia magnetica, sulle quali Coin ha il vantaggio di smettere di funzionare se perde il contatto con lo smartphone base. Una critica più importante è quella della diversità di aspetto rispetto alle carte di plastica, che potrebbe portare a difficoltà di accettazione da parte dei negozianti.
Il passo oltre a Coin è stato già fatto da un’altra start-up americana, Loop , che ha fatto il suo debutto sul sito di crowdfunding Kickstarter per poi ricevere un finanziamento di venture capital di 10 milioni di dollari nel 2013. Anche Loop utilizza un minilettore di strisce magnetiche che si inserisce nel jack audio di uno smartphone per caricare i dati delle carte. Il minilettore, che ha la forma di un portiavi, conserva i dati nella sua memoria e contiene anche un trasmettitore che imita la sequenza di segnali che i lettori di strisce magnetiche acquisiscono dalle carte. Basta avvicinare il trasmettitore a meno di dieci centimetri dal lettore e premere il pulsante per pagare con la carta i credito scelta come default. Se si vuole cambiare carta, basta collegare il minilettore allo smartphone e sceglierla dalla app. Per l’IPhone è anche disponibile una cover di ricarica che si adatta perfettamente al telefono e che contiene il trasmettitore. In pratica con Loop ogni smartphone può effettuare pagamenti da wallet e ogni altra transazione (caricare punti, riscattare remi, eccetera) verso i POS e lettori di striscia magnetica con la stessa modalità dell’NFC. L’azienda garantisce il funzionamento con il 92 per cento dei lettori e dei POS.
Il maggiore limite tecnologico di prodotti come Coin e Loop è il fatto che funzionano solo con carte a striscia magnetica. E’ vero che tutte le carte a chip conservano la striscia come backup, ma un sempre maggior numero di circuiti chiede la lettura del chip per autorizzare una transazione. Lettori di smartcard per smartphone esistono, a partire dal primo esempio del tipo, quello della svedese IZettle, il cui sistema di pagamento mobile presente nei Paesi del Nord-Europa nonché in Spagna, Messico e Brasile (grazie all’accordo con Banco Santander). Il problema è che una volta caricati i dati delle carte su smartphone, non esiste ancora uno “scrittore” universale, sia inseribile nel lettore che, anche più complicato, a distanza. Potrebbe essere possibile crearne uno compatibile per i lettori di carte contactless, ma quel punto, vista la scarsa diffusione delle contactless, tanto vale aspettare la diffusione dell’NFC…..
Oppure saltare completamente la fase di lettura dei dati delle proprie carte attraverso un qualche tipo di lettore locale. Diverse soluzioni esistono, per esempio quella della start-up italiana M4M, Mob4Money, che smaterializza completamente la carta. M4M è un’app per smartphone che usa un sistema di cifratura a chiave pubblica-chiave privata con PIN scelto dall’utente. I dati degli strumenti pagamenti sono conservati su un wallet online, che può essere quello di M4M ma anche altri. Il merchant deve avere un’applicazione software su un pc o uno smartphone interfacciato con la cassa con la quale avvia la transazione.
Il cliente riceve la richiesta di addebito sul suo smartphone e la autorizza inserendo il proprio PIN privato e segreto. Il sistema utilizza messaggi cifrati sulla rete cellulare ma non richiede l’autorizzazione da parte delle telco, la rete viene usata solo come livello di trasporto. Il vantaggio di un sistema del genere è che è adatto a integrare in una sola applicazione sia acquisiti in-store che on-line, oltre che essere wallet-independent. Basterà, domanda che vale anche per tutte le altre soluzioni che abbiamo rapidamente esaminato, a convincere consumatori e merchant a rinunciare alla tradizionale carta di plastica?
Fonte: sito Icbpi.it