Le banche europee chiedono aiuto alle startup Fintech

Il modo di fare banca sta cambiando un pezzettino alla volta e di questo ne è convinto Paolo Gesses, founder e managing partner di United Ventures, conduttore della round table milanese in cui è stata presentata la “Fintech Bible” promossa da Moneyfarm, una guida pratica in cui sono raccolte le testimonianze e i consigli di una trentina di aziende italiane ed europee attive nelle varie branchie del fintech.

Dal banking alla blockchain, dal crowdfunding alla gestione finanziaria, dalle monete complementari ai prestiti.

«Il denaro è ormai diventato un bit – spiega Gesses al Sole 24 Ore, facendo riferimento a una citazione di fine anni 90 di un importante esponente del mondo bancario – e le possibilità che nuove aziende cavalchino questo paradigma sono ancora elevatissime in un ecosistema in continua evoluzione, in cui le startup saranno sempre più appetite dagli operatori tradizionali. Quanto imprese innovative finiranno in pancia alle banche nei prossimi anni? Credo molte».

Se Moneyfarm sarà una di queste “prede” non è dato a sapersi. Di certo, come ha evidenziato uno dei suoi co-founder, Giovanni Daprà, il fatto che un colosso come Allianz sia entrato nel capitale della società «è un segno tangibile degli spazi di interazione fra gli operatori del fintech e gli operatori tradizionali. Negli ultimi dodici mesi – ha spiegato ancora l’Ad di Moneyfarm – le istituzioni finanziarie hanno preso maggiore coscienza dell’opportunità di collaborare con le realtà tecnologiche di questo settore e credo che la valenza innovativa delle startup diventerà un asset di cui le grandi banche non potranno fare a meno, a meno di colossali investimenti in risorse dedicate».

Startup Fintech all’attacco delle banche tradizionali e dei loro vecchi sistemi

Non è quindi un caso che dal 2011 a oggi siano nate a livello internazionale migliaia di nuove aziende, con oltre 26,5 miliardi di dollari di finanziamenti raccolti e una focalizzazione marcata sulle piattaforme di financing e lending (le startup attive in questo ambito hanno intercettato da sole circa 16 miliardi di dollari). E non è neppure casuale che, secondo gli analisti di Gartner, già entro la fine del 2019 almeno un quarto delle banche retail ricorrerà alle imprese del fintech per sostituire i propri sistemi legacy di gestione delle operazioni online e su device mobile.

Le opportunità che accompagnano il fenomeno sono per alcuni aspetti illimitate e le fintech italiane sono solo all’inizio del loro percorso, dimostrando per ora un limitato appeal nei confronti degli investitori.

Ignazio Rocco di Torrepadula, fondatore e Ad di Credimi, piattaforma digitale che da ottobre 2016 a oggi ha “anticipato” liquidità ai privati, è dell’idea che il rapporto delle fintech con le banche sia fatto di «competizione ma anche di complementarietà».

La chiave del cambiamento è nella necessità di rivedere le modalità di gestione delle attività del sistema bancario senza intervenire drasticamente sull’infrastruttura informatica esistente. «La velocità di innovazione deve radicalmente crescere – ha aggiunto – e le banche potrebbero integrare in futuro molte delle tecnologie sviluppate in seno alle startup del fintech, perché non possono riuscire, nell’immediato, a cambiare processi operativi legati a troppi sistemi legacy».

L’idea di possibili alleanze è sottoscritta in modo convinto anche da Roberto Spano, Ad di Sardex, startup cagliaritana che ha sviluppato un circuito pensato per facilitare le relazioni di debito e credito tra aziende operanti in un dato territorio, fornendo loro strumenti di pagamento e di credito paralleli a quelli tradizionali. «L’utilizzo di una moneta complementare – ha osservato – è di per sé un elemento aggiuntivo e non contrastante per il sistema bancario e la collaborazione con le banche è già qualcosa di reale in termini di borsellini multicurrency o di azioni di co-marketing».