Le banche italiane non sanno gestire i loro prestiti e quindi non ne fanno

Immaginate un’impresa che nel 2012 abbia fatturato 10 milioni di euro e abbia dovuto fare accantonamenti a fronte di crediti dubbi versi i clienti per ben 4 milioni. Non apparirebbe un’impresa molto sana e difficilmente con i 6 milioni residui potrebbe coprire tutti gli altri costi e chiudere con un utile d’esercizio. Probabilmente non otterrebbe credito in banca.

Bene questa impresa oggi si chiama sistema bancario, perché se si prendono i risultati dei bilanci consolidati delle principali banche e si raffronta il margine di intermediazione, senza i profitti dal trading effettuato prevalentemente sull’arbitraggio dei titoli di stato, con le rettifiche sui crediti alla clientela questo è il risultato che esce: gli accantonamenti a fronte del portafoglio crediti nel 2012 hanno raggiunto il livello del 40% per i primi 12 gruppi bancari.

A fronte di profitti scaturiti dall’attività con la clientela, tra spread e commissioni, per 56,5 miliardi sono stati accantonati ben 22,8 miliardi a copertura delle possibili perdite sul portafoglio crediti deteriorato. Una cifra che ha raggiunto livelli straordinari con le rettifiche dell’ultimo trimestre sollecitate in modo fermo dalla Banca d’Italia attraverso ispezioni e moral suasion per allineare i dati di bilancio a percentuali di copertura più realistiche ed omogenee.

 

Quanto alla situazione delle singole banche si possono notare differenze importanti tra i due gruppi bancari che meno soffrono di questa politica di accantonamenti (Intesa al 26% e UBI al 28%), mentre MPS e Banca Popolare Sondrio hanno superato il livello del 60%, fino ad arrivare al caso limite di Banca Marche il cui maxi-accantonamento vale 1,5 volte i margini operativi e ha prodotto una perdita di 518 milioni nel bilancio 2012.

Sembra piuttosto evidente che il sistema bancario non possa reggere a questo ritmo di accantonamenti sul portafoglio crediti e che, nonostante si stia rifugiando nel valore delle garanzie personali prese a fronte dei crediti concessi, deve prendere iniziative nell’attesa che il ciclo economico ritorni al bello.

Una delle iniziative che ha preso è sicuramente di diventare molto più cauto e restrittivo nella concessione di nuovi crediti. Alcune banche hanno rafforzato i presidi di controllo su quella parte dei crediti che -in funzione della gradazione di rating- sono ritenuti più rischiosi. Tuttavia complessivamente mi sembra che il sistema bancario non abbia compreso che deve agire in modo coerente e collettivo, modificando alcune regole di comportamento usate sempre in passato, specialmente perché, in base alle osservazioni che faccio nell’assistenza di imprese in crisi, mi trovo a constatare frequentemente come il sistema bancario si faccia male da solo con decisioni che peggiorano la capacità di risanamento delle imprese e di recupero del credito.

Si può aggiungere, ad esempio, che bloccare l’operatività di anticipo fatture di imprese in crisi di liquidità non sia una decisione lungimirante ai fini della continuità dell’impresa e del recupero del credito. E se la giustificazione si trova nell’applicazione della legge fallimentare e del rischio di revocatoria, ci si deve chiedere come mai il sistema bancario non sia ancora riuscito a spiegarlo al legislatore e a fare cambiare la legge.

Non sarà semplice, ma nemmeno impossibile e vista la posta in palio credo che l’Associazione Bancaria Italiana avrebbe le sue buone ragioni per ottenere modifiche alla legge e ne avrebbe ancora di più nel sancire protocolli di gestione delle crisi più omogenei tra gli stessi istituti bancari.

 

Articolo ripreso da linkerblog.biz, Autore: Fabio Bolognini