Vale la pena, a bocce ferme, di tornare sull’avvicendamento al vertice della prima banca italiana sul mercato domestico, Intesa Sanpaolo. La sequenza di eventi che ha portato Enrico Tomaso Cucchiani a prendere il posto del neoministro Passera offre infatti diversi spunti di riflessione.
Aiuta a riflettere su come, con che strutture, ruotando attorno a quali personalità, il credito italiano avanza nel terzo millennio digitale e globale. Corrado Passera, dunque, a un certo punto se ne va, chiamato da Mario Monti a fare il Ministro. All’improvviso? Sì e no, visto che di una sua valutazione dell’ipotesi di intraprendere una carriera politica parlavano in tanti, molti si dicevano sicuri di sapere.
Né si può dire, del resto, che Passera si fosse nascosto: convegni, interviste, la costituente dei cattolici in politica di Todi, dichiarazioni e interventi “di sistema”.
Proprio a Linkiesta, mentre il governo Monti era stava diventando ineludibile, diceva che “per il momento era meglio dire che ognuno deve continuare a fare bene ciò che fa”. Insomma, che Passera poteva andarsene a breve, giusto il tempo di fare poche valigie, doveva essere chiaro, e piani b pronti per tempo.
Invece no. La decisione è regolata da norme statutarie, ovviamente che nella prassi potremmo riassumere così: le due fondazioni bancarie più pesanti nell’azionariato di Intesa San Paolo, Cariplo di Milano e Sanpaolo di Torino, hanno il mano il pallino, ma la decisione finale spetta a Giovanni Bazoli, presidente del Consiglio di Sorveglianza che sancì proprio la fusione tra Intesa e Sanpaolo.
Tutt’attorno, muovono pedine lanciano segnali esprimono interessi le tante, anche piccole, fondazioni locali territoriale che stanno in società: portandoci, insieme, l’anima politica e quella del business a livello locale. Un sistema complesso, spesso farraginoso, sospeso tra la vicinanza al territorio e le sue specifiche esigenze di liquidità e la partita del potere. Con occhi non sempre rigorosi a guardare il conto economico.
Un quadro condiviso, in ogni caso, da tutti i principali istituti di credito nazionali. Con esiti che talora, capita adesso a Siena, portano davvero sull’orlo del baratro. In un sistema di governance dunque già non lineare, non manca come elemento aggravante il dialogo ininterrotto con la politica, intesa come politica romana.
Le intercettazioni tra Cucchiani e Bisignani rendono agevole credere che Gianni Letta sia stato “sentito”, sul cambio di vertici, mentre Bisignani, uomo legato a Letta, si era a suo tempo fatto molto sentire quando si trattava di “licenziare” Alessandro Profumo (uno degli ottanta soci de linkiesta.it) da Unicredit.
L’uscente Corrado Passera, ovviamente, avrà espresso le sue valutazioni, mentre le legittime ambizioni di manager interni ed esterni erano già abituate a confrontarsi con tutto il sistema di relazioni e statuti sopra descritto. Massimo Mucchetti, sul Corriere della Sera di Sabato 26 novembre, ripercorre la vicenda come una vittoria con dei limiti: la vittoria di un manager capace (Cucchiani) e di un presidente saggio (Bazoli), dentro un sistema che però va riformato perché qualche serio inghippo di governance c’è.
Anche perché Bazoli – rivela Mucchetti – avrebbe voluto affidare la successione a Mario Monti: ma Monti non può più, e bisogna pensare ad altro. Il mondo, intanto, fuori dai palazzi corre veloce. Sono giorni di sincera preoccupazione per la salute del paese, del continente, dei mercati e delle banche. L’Italia, in particolare, cammina su un crinale ancor più pericolante rispetto alla Vecchia Europa.
E le banche italiane si portano dietro davvero ampi margini per diventare più efficienti economicamente, internazionali e vicine alla loro clientela. Intesa Sanpaolo e le sue sorelle si portano infatti addosso organici pesanti, nell’era in cui fette sempre più ampie di clientela preferirebbero una tortura piuttosto che fare mezz’ora di coda in banca. E tutto o quasi, fanno on line.
Sono molti clienti di oggi, e così saranno tutti i nuovi clienti, da oggi in poi. Per proiettare le banche italiane nel futuro servono innovazioni, investimenti e tagli: dà operare a mani libere, nell’interesse degli azionisti (tutti, non solo le Fondazioni) e in quello generale.
Le banche italiane quindi devono orientarsi nuovamente, e affidarsi a manager capaci, scelti in modo trasparente su base meritocratica seguendo regole chiare e accessibili. Il libro dei sogni? Sì, per ora sì. Ma è un peccato grave: perché di mezzo non c’è solo il rispettabilissimo diritto degli azionisti a vedere messo al miglior reddito il proprio capitale, ma anche l’aspirazione di tutto un paese, che senza banche efficienti e che vivono nella contemporaneità difficilmente riprenderà a competere col primo mondo.
Testo articolo ripreso da linkiesta.it