Secondo molti analisti l’applicazione delle nuove norme di vigilanza europea sui crediti deteriorati finirebbe per danneggiare ulteriormente il credito disponibile per le imprese italiane. La spiegazione è squisitamente tecnica, ma la sua rilettura lascia più di un dubbio sul nuovo “allarme credito” e sui ‘fattori subdoli’ guarniti da una vena di tipico vittimismo italiano:
In sostanza i Regulators hanno imposto alle banche di prestare particolare attenzione sia alle domande di rinnovo dei prestiti, sia alle richieste di rivisitazione delle condizioni provenienti da soggetti in difficoltà finanziaria. Qui il problema deriva dal rischio che alcune posizioni, magari anche catalogate in “bonis” (ossia prive di anomalie), in realtà siano artificialmente tenute in vita solo grazie ai continui rinnovi degli affidamenti concessi nonostante la evidente difficoltà finanziaria del prenditore.
Secondo le nuove norme, gli Istituti sono ora tenuti a verificare sia l’esistenza di una difficoltà finanziaria in capo al cliente, sia la presenza di una richiesta di intervento configurabile come misura di tolleranza (rinnovo del fido in scadenza, riduzione dei tassi, allungamento dei tempi etc). In presenza di ambedue i fattori (in prospettiva si terrà conto nell’esame anche dell’adeguatezza dei flussi di cassa previsionali) la banca dovrà evidenziare la linea di credito “incriminata” e marchiarla come credito forborne. (fonte formiche.net)
In pratica si dice che se c’è un’azienda in difficoltà e il suo credito sta andando verso la sofferenza e richiede (come per la Grecia) una rinegoziazione basata su concessioni di qualsiasi tipo, la banca deve evidenziare il credito in una categoria speciale. Una seconda modifica imposta dalle nuove norme di classificazione dei crediti influenza la valutazione degli accantonamenti che le banche devono fare a fronte di crediti deteriorati.
In buona sostanza gli istituti, per quanto riguarda le posizioni deteriorate, non potranno più basarsi semplicemente su tabelle di accantonamenti percentuali standard più o meno accettate dalla vigilanza, ma dovranno stimare, con maggiore aderenza alla realtà, la perdita effettivamente attesa sulla posizione esaminata. Ed è proprio su questa perdita attesa (calcolata anche sulla scorta di modelli già validati da Banca d’Italia) che gli istituti dovranno poi effettuare accantonamenti adeguati che, in molti casi, si riveleranno decisamente più pesanti rispetto al passato.
Ora entrambe richieste sembrano più che logiche e ci sarebbe semmai da chiedersi come in passato le banche abbiano potuto ignorarle e comportarsi diversamente. Se un credito è cattivo o rischioso, qual’è lo scopo di continuare a fingere che non lo sia lasciandogli l’etichetta ‘bonis’? E per quale motivo le banche non dovrebbero stimare le perdite con maggiore precisione, facendo anche riferimento alle garanzie sottostanti evitando il distacco tra valori reali e valori di libro evidenziatisi nel problema sulla cessione delle sofferenze?
Questo lamento sul trattamento punitivo delle banche italiane e l’uso del credito all’economia e agli imprenditori come pretesto delle banche per protestare (‘meno credito alle imprese’) non hanno sempre fondamento a mio avviso.
In conclusione: il credito e le sue valutazioni sono un fatto di grande trasparenza verso i soci e anche verso i clienti di tutte le banche a cui si è chiesto di fidarsi e in tanti casi di diventare soci. E’ un impegno anche verso i buoni clienti che non devono mai pensare di pagare per i cattivi e per i cosiddetti ‘amici’.
Biasimare regole troppo penalizzanti sulla classificazione dei crediti in arrivo dalla BCE andrebbe fatto solo in presenza di motivi solidi e dopo avere riflettuto su quanto è avvenuto nei bilanci di molte banche.
La trasparenza ha un costo, certo, ma nel lungo periodo è un investimento che sui mercati finanziari ha un ottimo ritorno.
Fonte: linkerblog.biz – autore: F_Bolognini
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