Le opinioni poco convincenti di un grande gestore finanziario

Le opinioni di un prestigioso gestore, che a nostra personalissima opinione sono alquanto banali e talvolta irrealistiche. Ma si sa che noi siamo un po’ troppo ribassisti 🙂
Si è svolto la scorsa settimana, a Milano, il consueto meeting organizzato da Black Rock rivolto ai professionisti del settore. La partecipazione dei promotori e dei consulenti è stata decisamente corposa, con il Teatro dal Verme (che ha ospitato la manifestazione) affollato in ogni ordine di posto a cui si sono aggiunti i numerosi operatori che hanno seguito la manifestazione dai loro uffici, via web.
L’apertura dei lavori è spettata ad Andrea Viganò ed il primo intervento è stato quello del Predidente Rob Kapito, a cui sono seguiti gli interventi diretti di numerosi gestori, fra cui ricordo Adam Ryan, Nigel Bolton, Andrea Argenti, Rick Rieder, Sergio Trigo-Paz, Andrew Swan, Mike Trudel, Malcom Smith, Michael Krautzberger, Bruno Rovelli (spero di averli ricordati tutti) coordinati nelle due tavole rotonde da Andrea Cabrini del Gruppo Class e condirettore di MF/Milano Finanza.
I clienti sono confusi, è inutile nasconderlo; questo è il pensiero di Rob Kapito e dunque si rivolgeranno ai loro consulenti e promotori per trovare delle soluzioni. La risposta, nella visione di Black Rock, ovviamente sta nelle indicazioni dei gestori che sono intervenuti ma non di meno bisognerà tenere conto della particolare situazione dei tassi di interesse, della potenzialità di crescita dei mercati azionari (con un occhio di riguardo per le società che esprimono qualità) ma valutare anche investimenti non tradizionali e grande attenzione ai mercati emergenti, il motore della crescita e dello sviluppo.
Per chi ha meno tempo e pazienza ecco quello che ho trovato maggiormente interessante.
Innanzitutto i temi per investire nel 2013. Bruno Rovelli li ha indicati con estrema chiarezza. Le azioni appaiono come l’asset class con le migliori valutazioni relative e con prospettive di medio termine più interessanti. Il focus dei mercati si dovrebbe gradualmente spostare dai temi strutturali a quelli ciclici e con un ciclo globale in miglioramento (seppur timido) i mercati azionari dovrebbero registrare un altro anno di buone performance. Europa  e Asia le aree più favorite per delle buoni ritorni.
Le valutazioni dei titoli obbligazionari sono oggi molto meno attraenti di quanto lo fossero all’inizio del 2012 e le performance si prospettano decisamente inferiori. Va attuata una forte diversificazione di portafoglio con titoli high yield e bond dei paesi emergenti, meglio se not hedged. Nell’ambito dei titoli governativi l’Europa va privilegiata.

Vanno infine inserite o mantenute esposizioni verso strategie non direzionali e, soprattutto, va data ampia delega a gestori con strategie flessibili; siamo alla fine di un ciclo caratterizzato da rendimenti eccezionalmente alti e va attenuato l’impatto di un’alta volatilità per i rischi che essa comporta.
Sul mercato obbligazionario sono emerse alcune interessanti indicazioni; la prima riguarda la struttura del debito dei paesi emergenti. Sappiamo ormai bene che queste nazioni si propongono sul mercato del credito forti di un livello debitorio estremamente più contenuto rispetto ai paesi occidentali (pertanto un rapporto debito/pil inferiore); ne consegue che abbiano pertanto una minore onerosità in termini di interessi da corrispondere. Inoltre sono paesi nei quali vi è crescita e pertanto meglio dotati sulle leve di politica economica (tasse e/o debito) e comunque favoriti dalla crescita del pil, costante e robusta.
Nel corso di questi ultimi anni questi asset hanno trovato sempre maggiore spazio nei portafogli di banche, società di investimento, fondi pensione, ecc. ma rimangono ancora poco pesati nei loro portafogli. La percentuale media di tali bonds (tra Usa, GB e Europa) è appena del 3,20%. Ci attende dunque una lunga stagione di acquisti da parte di investitori istituzionali a sostegno della domanda di questi asset a tutto beneficio del loro ritorno reddituale.
L’attuale mercato richiede una gestione più attiva degli asset obbligazionari. Gli investitori non possono più contare sui tassi di interesse dei cosiddetti investimenti “sicuri” (la tripla A ora è sinonimo di perdita in conto capitale); l’inflazione attesa supererà i rendimenti nominali, il livello infimo dei tassi lascia scoperto il fianco verso un loro possibile rialzo (basta un rialzo di 34 bp dei tassi e si annulla il vantaggio di detenere l’indice Barclays Global Aggregate).
L’obiettivo reddito può dunque essere colto attraverso un asset allocation che equilibri i fattori di rischio e rendimento costantemente sfruttando razionalmente i vantaggi della diversificazione; l’asset pertanto non può che essere dinamico e ben calibrato su un orizzonte temporale adeguato all’investitore e non di brevissimo periodo. Una gestione total return orientata alla generazione di un reddito medio annuo lordo fra il 4 ed il 6% è la migliore soluzione per la componente core dell’asset obbligazionario (meglio se vi è diversificazione anche dei gestori, aggiungo io …).
Le azioni. Ormai è assodato che il livello dei dividendi, attraverso il processo di riduzione dei tassi cedolari, si è stabilizzato ad un livello premiante rispetto a questi. I tassi governativi della Germania danno un ritorno inferiore al 2% mentre la media dei dividendi dell’indice MSCI Europe Dividend Yield si sta attestando intorno al 4%.
Dunque, per un investitore di medio (o lungo) periodo detenere azioni di qualità in portafoglio sta diventando più remunerativo e per alcuni aspetti anche meno rischioso (affermazione da prendere con beneficio di inventario ma che ha dalla sua una serie di punti favorevoli che non andrò a sciorinare in questa sede).
Infine le commodities. E’ alle nostre spalle il periodo di stretta creditizia che ha imbrigliato la crescita dei paesi emergenti nel recentissimo passato. Ora si apre una stagione (che ci auguriamo possibilmente lunga) nella quale ci si attende un ritorno alla crescita delle economie occidentali e contemporaneamente una ripresa più vigorosa delle economie emergenti. Ciò dovrebbe provocare un incremento della domanda di hard commodities che ormai sono vicine ai costi marginali di produzione con la possibilità di razionamento dell’offerta nel caso non cresca la domanda. Prezzi dunque favorevoli per l’inserimento di tali asset in portafoglio in ottica di investimento.
Chiudiamo qui con le indicazioni di investimento e apriamo una finestra che ho trovato alquanto interessante, quella dei comportamenti di investimento. La fiducia nella liquidità è il tema cardine. E’ confermato che gli italiani prediligano quest’asset di investimento (il 55% detiene i propri risparmi liquidi!!). La principale ragione sta nell’eventualità di un’emergenza (ca. il 50% degli intervistati) e comunque l’orizzonte temporale di breve termine (1-3 anni) supera la media europea del 50%.
E’ piuttosto evidente che tali radicate abitudini affondino le proprie radici nella scarsa cultura finanziaria e nell’assenza di una qualsivoglia pianificazione finanziaria ma anche nella mancanza di partner in grado di guidare le scelte di investimento; sono cose che sapevamo.
Ma il bello (le contraddizioni) viene ora; l’89% ritiene che investire per generare una rendita sia importante ma solo il 30% sta effettivamente investendo per questa ragione. Inoltre solo 1 persona su 5 utilizza l’azionario a questo scopo. Solo 1 su 5 (abbiamo appena visto come gli scenari economici e finanziari mutino con grande rapidità) degli investitori sta rivedendo attivamente il proprio portafoglio. E’ incredibile, in una situazione di crisi prolungata ed incombente come quella attuale, l’inerzia che attanaglia il risparmiatore medio italiano.
A conferma di queste contraddizioni ecco come vedono il futuro i nostri concittadini. Il 60% crede che pianificare la pensione sia una propria responsabilità personale ma il 53% degli italiano NON sta pianificando la propria pensione.
Veniamo, per chiudere, all’interesse per le materie finanziarie. Tre persone su quattro si dicono interessate ad incrementare la propria educazione finanziaria (in questo siamo 1^ in Europa …) e 1 su 3 si dice interessato a rivolgersi a un consulente finanziario per accrescere le proprie conoscenze. Magari gli intervistati l’hanno detto per puro compiacimento ma hanno fiutato bene l’aria: il grado di soddisfazione in base al livello di conoscenza finanziaria fa sì che i più informati lo siano effettivamente (il 70% contro il 50% di chi ha scarse conoscenze in materia).
Mi  permetto di esprimere a questo punto il mio personale punto di vista e di formulare un’esortazione chiara agli investitori e ai professionisti del settore.
Tutto ciò mi sembra effettivamente un chiaro invito: non aspettiamoci altre tegole (vedi riforma Fornero o un ulteriore incremento della pressione fiscale sui redditi e proventi da titoli, ad esempio) e rendiamoci conto che solo un atteggiamento più razionale consentirà agli investitori di colmare i vuoti che si stanno aprendo intorno al nostro passato benessere, sempre più nelle nostre mani piuttosto che nella disponibilità di risorse pubbliche che non ci sono più. L’enorme ammasso di liquidità destinata a perdere di valore, erosa dall’inflazione, su cui sono seduti gli investitori in speranzosa attesa di una lucidata allo stellone italiano costituisce il germoglio con cui piantare la serenità del domani. Non gettiamo al vento dunque quella che costituisce, ancora per qualche tempo, una vera e propria ricchezza per il paese e per chi la possiede.
Ma anche gli operatori devono fare la loro parte. Diffondere cultura finanziaria ed elevare il livello di consapevolezza nei risparmiatori non può certo essere un compito lasciato ad anemici burocrati di sportello: è la mission di operatori professionali, preparati ed esperti. Non si chieda dunque loro di svolgere il loro compito gratis et amore Dei, è una professione e chi lavora deve essere onestamente compensato ma altrettanto seriamente – al giorno d’oggi – i professionisti devono essere guidati da serietà ed etica nel curare l’interesse della loro clientela. I danni subiti in questi anni dagli investitori sono ferite profonde e dolorose e dunque ci si adoperi per costruire rapporti fiduciari sereni e duraturi nel tempo: ne beneficeranno gli stessi professionisti, i loro clienti e l’intera società.
Articolo ripreso dal sito goodsensefinance su Blogspot