La professoressa Fiorella Kostoris, economista e già moglie del fu professor Tommaso Padoa Schioppa è spesso ospite in programmi televisivi, ultimamente. Abbiamo raccolto in rete – soprattutto dai suoi interventi sul Sole 24 Ore – alcune delle sue proposte economiche degli scorsi anni (compresa una famigerata “settimana di ferie in meno”).
1. Lavorare di più, e anche pagati meno: «Consapevoli dei limiti della finanza pubblica italiana e dei mutamenti della congiuntura mondiale in corso, le classi dirigenti e i partner sociali del nostro paese dovrebbero affrontare con senso di responsabilità e di realismo la situazione, cogliendo le opportunità che pure non mancano. Chiedere a chi ha la fortuna di avere un’occupazione di lavorare di più e meglio non andrebbe considerato da nessuno come un oltraggio. Attrarre nella sfera dell’attività produttiva i disoccupati giovani, le donne, i meridionali, gli outsider, proponendo loro formule retributive e regolatorie meno favorevoli di quelle dei dipendenti maschi del Centro-Nord di 30-50 anni, non dovrebbe essere quasi universalmente valutato come un insulto, purché si riesca a non ghettizzarli nella permanente precarietà».
2. Una settimana di ferie in meno: «Bisogna porre la domanda se non valga la pena, almeno per un certo periodo, di sostituire parzialmente il tempo di lavoro al posto di quello libero. Per esempio, se tutti noi rinunciassimo nel 2004 a una setimana di ferie o festività o anche di assenze per conflitti motivati da cause estranee al rapporto, potremmo, se valessero condizioni analoghe a quelle vigenti nel 2003, creare un valore aggiunto, un reddito e una spesa addizionali di circa 3-4 decimi di punto, a loro volta pari alla crescita media del Pil Italiano nel biennio 2002-2003»
3. Un authority sulla ricerca scientifica: «Affinché competenza, onestà intellettuale e coraggio di innovare siano assicurate nella composizione dei gruppi di valutazione, questi dovrebbero avere una quota significativa di scienziati stranieri e di giovani italiani che lavorano all’estero in posti di prestigio; una frazione dovrebbe essere ricoperta da ricercatori italiani residenti che si siano distinti per la qualità e l’impatto delle pubblicazioni, secondo gli indici bibliometrici internazionalmente accettati; infine, una percentuale residuale dovrebbe essere appannaggio dei “grandi vecchi” nostrani, che spesso già si trovano, per meriti acquisiti, in posizioni di massimo potere in Italia. A tutti dovrebbero essere garantite condizioni di indipendenza e terzietà tanto rispetto al Governo che alle potenti burocrazie ministeriali e accademiche. Magari attraverso l’istituzione di un’Authority».
4. Alzare l’età di pensionamento delle donne nel settore privato: «Segnalo che se non si aumenta l’età di vecchiaia delle donne anche nel privato tra tre anni ci troveremo nella paradossale situazione per cui il requisito d’età minimo per la pensione di anzianità sarà a 62 anni, e cioè superiore a quello di vecchiaia, che nelle donne è a 60 anni. Un vero assurdo previdenziale». Se si ricorda che i difensori dell’età di pensionamento più bassa per le donne spesso la giustificano come un risarcimento dovuto dopo una vita lavorativa fatta di discriminazioni, la Kostoris replica seccata: «Too little, too late. Troppo poco e troppo tardi. Bisogna superare tutte le forme di segregazione che caratterizzano il nostro mercato del lavoro e bisogna farlo il più velocemente possibile perché ne va dell’efficienza complessiva della nostra economia». In questo senso l’aumento dell’età pensionabile delle donne nel privato «libera risorse vere – aggiunge la professoressa Kostoris – che potrebbero essere utilizzate in politiche a sostegno della domanda di lavoro femminile».»
5. Detassare gli straordinari (fu fatto dal governo Berlusconi): «Non solo si tratterebbe di un ottimo mezzo di selezione degli occupati più “meritevo-li”, che includerebbe, in termini però non esclusivi, i disponibili allo straordinario – coinvolgendo quindi una frazione presumibilmente maggiore di famiglie italiane cui verrebbe aumentato il potere d’acquisto – bensì sarebbe anche un metodo per integrare nel mercato una quota aggiuntiva di lavoro femminile potenzialmente superiore a quella maschile. È noto, infatti, e ripetutamente ribadito anche sul Sole 24 Ore da Alberto Alesina e Andrea Ichino, che l’offerta di ore lavorate da parte delle occupate è assai più elastica rispetto al salario al netto delle imposte di quella dei colleghi uomini: dunque, se non emergessero esplicite preferenze o discriminazioni di genere nella domanda delle imprese, le lavoratrici, pur con un orario attuale inferiore al maschile, sarebbero le prime a reagire positivamente, divenendo le principali beneficiarie di tale misura, perché l’incentivo di fatto risulterebbe per loro più forte, e l’autonomia economico-sociale della donna sarebbe di conseguenza rafforzata».
Articolo ripreso da ilpost.it