Nelle scorse settimane la Ragioneria dello Stato ha reso pubblici gli ultimi dati disponibili che anticipano il quadro della distribuzione geografica delle risorse erogate dal settore pubblico.
Le cifre permettono di osservare lo Stato nel suo atteggiarsi dinanzi ai vari territori e quello che emerge è un quadro desolante, ma – a ben guardare – piuttosto edulcorato. Benché tutti abbiano riportato in modo acritico i dai della Ragioneria e abbiano evidenziato quanto sia bassa la spesa pubblica in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna (in relazione ad altre aree), il trattamento subito da queste tre regioni è molto più vergognoso di quanto quelle stesse cifre non dicano.
Esaminare la spesa senza informare sui prelievi, come la Ragioneria ha fatto, significa in effetti raccontare solo una mezza verità. È un’omissione grave, che emerge con chiarezza anche dal modo in cui tutti i media hanno presentato la notizia.
In cima alla classifica, tra i reprobi ultraprivilegiati inondati di spesa pubblica, si collocano tre minuscole realtà dell’estremo Nord (Trentino, Tirolo meridionale e Valle d’Aosta), mentre le quattro maggiori regioni settentrionali (Lombardia, Emilia Romagna,Veneto e Piemonte) sono certo in fondo alla classifica, ma a una distanza non poi abissale da quelle del Centro-Sud. Il “trucco”, appunto, sta nel dare i dati della spesa ignorando quelli dell’imposizione fiscale.
Per studiosi liberi da condizionamenti e curiosi di capire la realtà, non è comunque difficile trovare i dati corretti: basta elaborare la gran massa delle informazioni che la stessa Ragioneria fornisce. Ma è chiaro come questo doppio disastro – lo sfruttamento di alcuni che serve a difendere politiche assistenziali (e distruttive) a favore di altri – cerchi di essere nascosto dall’apparato politico e burocratico nazionale. Se l’occhio non vede e il cuore non duole, la ridistribuzione territoriale può proseguire senza intoppi.
Quando però nei prossimi mesi lo Stato italiano ci renderà edotti in merito alla bilancia tra le risorse ricevute e quelle spese nei vari territori, la fotografia che emergerà (tenendo presente quanto è avvenuto negli anni passati) sarà quella di un’Italia divisa in tre fasce: con pochissime regioni che danno tantissimo ricevendo molto meno; talune realtà che grosso modo danno quanto ricevono; e, infine, un Sud che invece contribuisce in maniera molto limitata e riceve una gran quantità di denaro.
Negli anni scorsi questa rappresentazione era facilmente riconoscibile in alcuni studi di Gian Angelo Bellati dell’Unioncamere del Veneto, ma in seguito a risultati assai simili è arrivato anche il sociologo Luca Ricolfi in un volume di successo significativamente intitolato “Il sacco del Nord”. Sul sito “Noise from Amerika” ha più volte trattato questo tema pure Lodovico Pizzati, che a proposito dei dati del 2007 rilevava, ad esempio, come ogni veneto perdesse 3.900 euro e ogni lombardo addirittura 6.000.
In sostanza in questi anni è successo che di media un lombardo abbia dato allo Stato tra 5 e 6 mila euro all’anno più di quanto non abbia ricevuto in servizi nazionali e locali. Il che significa che una famiglia lombarda standard composta da quattro persone ha perso più di 20 mila euro ogni anno in opere di solidarietà a favore della spesa pubblica concentrata nel Sud. In un decennio si è vista sottrarre l’equivalente di un appartamento di proprietà.
La spesa pubblica è alta al Nord e abnorme nel resto del Paese, generando una tassazione e un debito che ci stanno uccidendo. Provare a negarlo mettendo la polvere sotto il tappeto, però, non ci aiuta in nessun modo.
Questo articolo è stato pubblicato da Il Giornale in data 2 febbraio 2016.