Da alcuni anni si assiste in Italia a un rifiorire di iniziative legate al mondo digitale e delle startup. Un’attività che sembrava seppellita, un decennio orsono, sotto il crollo della new economy, sta ripartendo di grande slancio.
Purtroppo, dietro a questo fermento imprenditoriale apparentemente positivo, c’è spesso l’impossibilità per molti giovani, che non si rassegnano a far parte della generazione neet, (colori i quali non studiano, non lavorano ed hanno anche smesso di cercare lavoro) di trovare una occupazione stabile con un contratto a tempo più o meno determinato e pertanto si cimentano nel lancio di una start up. Ma capita non di rado che anche persone più grandicelle, magari con un passato glorioso in multinazionali informatiche, investono la buonuscita, a volte ricca, ricevuta nel “giorno dell’addio”, nell’iniziativa che li potrebbe fare diventare i nuovi Steve Jobs o Bill Gates.
Al di là del tono scherzoso per un argomento che è invece socialmente drammatico, colgo spesso la critica, tra gli operatori del settore, che la crescita e lo sviluppo di start up digitali soffra della carenza di capitali, soprattutto dopo le primissima fasi di vita, nelle quali, o i capitali non servono o bastano quelli di familiari, amici o della summenzionata buonuscita.
Certo, se si paragona il fenomeno attuale con il precedente della new economy, alla fine degli anni 90, dove i capitali inondarono il mondo digitale, in maniere peraltro abbastanza acritica e poco selettiva (lo dimostra il tasso di sopravvivenza delle imprese nate sull’onda, solo 15 anni dopo), la situazione è complessa, ma forse, era allora che c’era un eccesso di offerta di denaro.
Probabilmente l’offerta di capitali in questo momento è bassa, ma, a mio parere, congruente con l’offerta e la qualità della start up digitali nate nel nostro paese: non dimentichiamo che il mercato dei capitali è senza confine – anche per merito dello sviluppo di Internet – e le start up italiane devono competere necessariamente con il resto del mondo per risorse finanziarie scarse.
Ciò che, secondo me, invece più manca in questo panorama, spesso anche a livello di dibattito istituzionale, è l’attenzione alle competenze manageriali necessarie a supportare un processo di start up di successo. Lo start up, infatti lungi dall’essere un’attività semplice perché relativa ad aziende di piccoli dimensioni, è paragonabile al decollo dell’areo dal suolo, dove i motori sono alla massima potenza e l’attenzione dei piloti concentrata sul fare volare un ammasso di ferro che ogni volta ci stupisce di come riesca a stare in aria. Purtroppo troppo spesso invece la nostre start up digitali sono in mano a piloti molto esperti magari di motori o di aerodinamica (leggi software, microprocessori o nanotecnologie) a volte con competenze riconosciute a livello mondiale, ma che, non per questa ragione, possono pilotare un aereo.
La metafora “aeronautica” è, a mio parere, particolarmente calzante, perché, come nel volo, una volta che l’aereo – start up è decollato, tutto diventa più semplice e magari serviranno nuovamente competenze speciali nella fase di atterraggio, affinché possa concludersi con una exit particolarmente profittevole.
E’ quindi fondamentale la possibilità, per lo startuttper, di potere usufruire di attività di mentoring da parte di manager di esperienza che assistano, come co-piloti, questa fase delicata di volo. E probabilmente in questo momento, complice la stessa crisi che sta favorendo la nascita di tante nuove iniziative, vi sono molte competenze di qualità, disponibili ad aiutare, anche solo per sentirsi nuovamente attive nel mondo del lavoro, queste giovani aquile implumi.
Purtroppo le carenza strutturali che affliggono i nostri startupper, sono tante: vanno da semplici competenze di diritto societario a temi più complessi quali analisi di posizionamento competitivo, dimensionamento dei mercati si sbocco, all’internazionalizzazione, alla redazione di un business plan professionale. Il tema si ricollega in ogni caso alle scarse competenze manageriali delle PMI italiane, di cui le start up digitali sono un sottocategoria, e agli ancora debolissimi legami tra università e mondo imprenditoriale.
In questo senso, peraltro, competenze e capitali sono particolarmente interconnessi in quanto l’investitore istituzionale giudica spesso più il management che il progetto e una iniziativa, magari non straordinaria ma ben presentata, ha spesso possibilità di essere finanziata di una potenzialmente esplosiva, ma con una presentazione carente e lacunosa. Per questo motivo, anche nella successione logica, le competenze hanno prevalenza sui capitali.
Con tali premesse il nostro sistema dovrebbe favorire l’incontro tra idee e competenze quasi e forse più che tra idee e capitali. Magari perché adesso è anche più facile trovare le prime che i secondi e, per lo stesso motivo, è fondamentale che tutti gli startupper digitali (e non) dedichino energia ed impegno nel trovare, prima dei capitali, un “mentor” che per amicizia, in cambio di una piccola quota di partecipazione o di una parcella professionale li affianchi in quello che è, senza alcun dubbio, il periodo più critico della vita di ogni società.
Articolo di Andrea Pietrini – Managing Partner yourCFO Consulting Group e Business Angel