Quando ero studente al liceo il sogno di molti ragazzi era di laurearsi in materie economiche per poi intraprendere un percorso di crescita professionale alle dipendenze di una banca locale, sperando negli anni successivi di fare il grande salto con una chiamata da una grande realtà bancaria di caratura nazionale.
Allora esistevano tre grandi banche di interesse nazionale, Credito Italiano, la Banca Commerciale e la Banca Nazionale del Lavoro, ognuna di loro presente con le loro faraoniche sedi in ogni centro storico di capoluogo di provincia. Non erano solo i ragazzi che miravano a questo obiettivo, anche i loro genitori li spronavano ed incentivavano a dare il meglio a scuola confidando in una futura occupazione all’interno di una banca di prestigio, grazie magari ad un percorso di studi caratterizzato da risultati di eccellenza.
Lavorare in banca alla fine degli anni ottanta era considerato anche molto prestigioso a livello sociale, senza contare i livelli reddituali che contraddistinguevano chi vi lavorava. Un orario di lavoro tutto sommato poco frustrante al pari di altri impieghi nel settore privato. Insomma un ambiente sicuro, stimolante e prestigioso, che offriva un’occupazione ben retribuita ed invidiata.
Agli inizi degli anni novanta sono iniziati i grandi processi di privatizzazione e le grandi fusioni con conseguenti quotazioni di borsa che hanno cambiato sia il panorama bancario che il modo di lavorare (front e back office) causa introduzione degli obiettivi mensili di budget e l’emersione di una conflittualità accesa tra banca contro banca pur di accaparrarsi il cliente ed i suoi depositi. Il modello di business bancario si evolve puntando sempre più all’area dei servizi parabancari (meno prestiti e più attività collaterali), senza dimenticare la nascita della figura professionale del promotore finanziario (inesistente negli altri paesi).
Nascono i primi conflitti di interesse con la loro stessa clientela, prima vai visti, in concomitanza dei quali si verificano i più grandi scandali a sfondo finanziario che connotano il mercato del risparmio gestito. Lentamente il sentimento di fiducia smodata che aveva sempre caratterizzato gli italiani nei confronti della loro banca, lascia spazio ad una percezione di angoscia e timore ogni qual volta ci si rivolge a loro per una esigenza di vita personale o imprenditoriale. In poco tempo quello che era sicuro, certo, prestigioso e desiderato viene denigrato, offeso, bannato e ripudiato.
Siamo appena all’inizio, il peggio deve ancora arrivare. Con la fine dello scorso decennio vengono completamente cancellate quelle certezze che sin da bambini alle elementari abbiamo sempre dato per scontato: più grande è una banca più questa è sicura. Oggi forse è vero il contrario. Investimenti propagandati negli anni precedenti con la formula del capitale protetto e del rendimento garantito dimostrano tutta la loro inconsistenza innanzi ai grandi fenomeni di crash finanziario che colpiscono le grandi banche commerciali e il settore finanziario del risparmio gestito causa prima crisi del credito facile e dopo del debito sovrano.
Le quotazioni delle più imponenti, prestigiose e influenti banche del mondo occidentale crollano miseramente anno dopo anno arrivando in alcuni casi a dare manifestazione di fallimento “de facto” a fronte di una capitalizzazione di borsa inferiore al patrimonio netto tangibile. Vedo che non è stata data adeguata visibilità mediatica ai piani di rilancio e ristrutturazione che prima hanno caratterizzato le banche statunitensi ed inglesi, ed adesso vengono messe in atto anche dalle europee senza esclusione delle italiane.Stiamo parlando di migliaia di esuberi del personale da gestire nei prossimi anni (leggete licenziamenti o uscite forzate), filiali da chiudere (non da vendere alla concorrenza) e tagli ingenti sugli oneri di gestione ordinaria (servizi più scadenti alla clientela).
The party is over anche per il personale che lavora in banca: tutto il settore andrà in contro ad una trasformazione e contrazione epocale, creando non poche preoccupazione ai correntisti e risparmiatori. Tanto per farvi comprendere come ancora adesso molti istituti sono in alto mare, navigando a vista, senza una meta ben precisa, pensando che il futuro dell’industria bancaria sia l’espansione e l’aumento delle dimensioni con i metodi canonici ovvero acquisendo ed aprendo nuove filiali. Una classe dirigente mentalmente obsoleta non si rende conto che entro dieci anni gran parte dei servizi un tempo erogati allo sportello fisico scompariranno in quanto medioeveali.
Vincente invece sarà la banca che sta già investendo in misura considerevole sulla presenza capillare attraverso il web e sulla fruizione dei suoi servizi sfruttando la multicanalità. I pagamenti NFC (near field communication) faranno a breve da apripista. Sorrideremo allora ripensando alle banche che oggi gongolano per le proprie dimensioni canoniche, quando tra dieci anni saranno istituti di credito completamente fuori mercato con un gap di mercato irrecuperabile nei confronti della concorrenza.
Articolo ripreso dal sito di EugenioBenetazzo.com