Il Bitcoin si iscrive, pur con le sue peculiarità, in un fenomeno più ampio che è quello delle monete complementari, che devo dire comincia ad apparire all’orizzonte trascinato dalla ribalta di bitcoin anche attraverso i documenti ufficiali.
Quando nell’ultimo rapporto la Bce fa riferimento a un mondo più ampio e variegato, facendo riferimento in particolare alle valute che a differenza di bitcoin hanno un carattere centralizzato, sta evocando appunto un orizzonte in cui poi c’è una varietà di fenomeni più ricca e molteplice.
In questo quadro ho sempre manifestato una certa sorpresa per la sproporzione che esiste fra l’attenzione che si dedica anche in sedi prestigiose come questa o come la Camera dei deputati, e le dimensioni effettive del fenomeno. Nell’ultimo rapporto della Bce c’erano dei dati, sia pur discutibili, ma che danno una dimensione chiara del fenomeno: 67mila transazioni al giorno in tutto il mondo le fa l’Esselunga a Milano, ciò nonostante il fenomeno ha raccolto un interesse sproporzionato.
Io ho un atteggiamento molto critico nei confronti di bitcoin come strumento monetario, perché, oltre alle dimensioni limitate, nella sua configurazione attuale ha delle potenzialità che non credo possano avere un impatto quantitativo di trasformazione effettiva del funzionamento del sistema degli scambi e del sistema finanziario.
A me sembra che bitcoin presenti una tecnologia estremamente innovativa e, quella sì, promettente a servizio di un’architettura monetaria antiquata, perché dal punto di vista del sistema monetario, delle sue regole di funzionamento, del modo in cui questa moneta viene emessa, del mondo in cui viene utilizzata, si tratta della reinvenzione di un sistema monetario che ci siamo felicemente lasciati alle spalle e che si chiama Gold Standard, con se volete qualche pregio in più ma anche qualche difetto in più. A cominciare dal fatto che l’oro qualche pregio intrinseco, come si diceva un tempo, ce l’ha.
La trovo come una straordinaria provocazione: al pari dell’oro il Bitcoin è un asset, scarso, e soprattutto a differenza della gran parte degli asset finanziari con cui abbiamo a che fare, è un asset che non è al tempo stesso la liability di qualcun altro. E questo da quando abbiamo eliminato l’oro è qualche cosa che non conoscono più neanche le banche centrali, perché anche loro sono costrette a operare in un contesto in cui di fatto loro stesse hanno un bilancio di asset e liabilities e a fronte delle liabilities della Banca centrale che sono moneta legale ci sono degli asset che a loro volta sono perlopiù, tolto l’oro e altre poche eccezioni, liabilities di altri soggetti.
Mi fa quindi piacere che questa provocazione sia stata raccolta dalle Banche centrali come un invito a riflettere sullo statuto della moneta legale, sulle possibilità per la banca centrale di operare attraverso l’emissione di valute virtuali di questo genere. Perché lì è interessante che si attivi una riflessione e che si esplorino delle potenzialità di sviluppo. Allo stato attuale, quello che viene spesso rivendicato come un pregio di bitcoin – la sua scarsità, la sua quantità fissa determinata in maniera esogena a partire da un algoritmo – si trasforma in un difetto che ne mina alla base la possibilità di diventare uno strumento monetario credibile. Perché il fatto che l’offerta, diciamo così, sia fissa e predeterminata non dice nulla riguardo alla domanda. E la domanda, come abbiamo visto in questi ultimi mesi, oscilla enormemente e questo fa variare il prezzo con delle implicazioni anche per la possibilità di utilizzare i bitcoin come mezzo di pagamento. Perché è vero che è lì che la tecnologia mostra il suo carattere straordinario – è un mezzo di pagamento estremamente efficiente – però se questo mezzo di pagamento ha un valore che oscilla in maniera così erratica, anche l’utilizzo come mezzo di pagamento viene per forza di cose pregiudicato.
Se di questo strumento con le sue potenzialità tecnologiche si fanno portatori le banche centrali, a me sembra che questo sia intanto un aspetto a sua volta problematico, nel senso che stiamo parlando di uno strumento decentrato e di una banca centrale, ma che sposta l’attenzione in una direzione giusta. Ora, che le banche centrali esplorino come possibile strumento non convenzionale l’emissione di una parte della base monetaria sotto forma di un contante elettronico, paragonabile al bitcoin, a me sembra che sia molto interessante, ma proprio perché recupera alla moneta elettronica questo elemento che, dal mio punto di vista, è ineliminabile e cioè la discrezionalità in ordine alla quantità di moneta che viene emessa e quindi all’esercizio della politica monetaria. Cioè, il fatto che la politica monetaria, di tanto in tanto, si scontri con dei limiti che si chiamano inflazione, deflazione, dissimetria nei meccanismi di trasmissione, ecc. non significa che la soluzione è togliere il banchiere centrale perché c’è la discrezionalità e sostituirlo con un robot, o con un algoritmo pre-programmato che ha già stabilito a priori come debba funzionare il sistema monetario. Perché il sistema monetario, giustamente, deve adeguarsi all’andamento del sistema economico.
Bisogna evitare rischi di fraintendimento sul bitcoin come sistema di pagamento, perché un sistema di pagamento è un sistema che trasferisce denaro. Mentre bitcoin non si limita a trasferire denaro: al tempo stesso crea denaro e lo trasferisce, creando un denaro che è diverso dalla moneta ufficiale e trasferisce un denaro che è diverso dalla moneta ufficiale e che ha un rapporto con la moneta ufficiale che non è fisso ma è variabile sulla base di un prezzo di mercato.
Non solo questo ma come è emerso in precedenza, le due attività di Bitcoin non sono disgiunte: il trasferimento non può avvenire senza la creazione perchè sono i redditi di signoraggio che coprono i costi di transazione. Quindi io ho un po’ di difficoltà a pensare che bitcoin possa uscire da questa empasse in quanto articolazione fra una tecnologia e una architettura monetaria, fatta salva la potenzialità della tecnologia. Ma che questa tecnologia richieda di essere posta a utilizzi migliori, credo che sia fuori di dubbio. Per questo mi piace la provocazione del mining a carico dello Stato o di un’autorità centrale. Perchè la creazione monetaria assolve a una funzione pubblica e quindi dovrebbe soggiacere, dal mio punto di vista, ad un regime pubblico con la copertura pubblica dei costi e diciamo la imputazione pubblica dei ricavi dove pubblico, appunto, non significa necessariamente Stato.
Testo ripreso dagli interventi dei partecipanti al forum sulle valute virtuali organizzato da Nòva24. – articolo ripreso da ilsole24ore.com
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