Mini Bond per la piccola media impresa italiana una scommessa difficile da gestire

Se ne parla ovunque e spesso anche a sproposito, ma il mercato delle nuove emissioni obbligazionarie (mini-bond) nel regime fiscale e di regolamentazione previsto dal decreto sviluppo n.83/2012, sembra essere la sola reale speranza di affrancamento per le imprese dalla dipendenza del credito bancario.

In questo periodo di grande fermento da parte degli operatori, che stanno montando i fondi specifici (credit funds in arrivo anche per Unicredit e BNP) o stanno allettando possibili emittenti, si cominciano a sentire numeri importanti sulle possibili emissioni obbligazionarie, che vanno ben al di là di quanto inizialmente previsto dallo stesso Ministero dell’Economia e delle Finanze e c’è chi si è spinto a ipotizzare anche 10.000 potenziali emittenti.

Il tempo farà giustizia di questi numeri, ma alcune riflessioni sul nuovo mercato delle obbligazioni corporate si può anche cominciare a farlo e occorre dire subito che almeno alla partenza sembra essere un mercato davvero originale.

Se si da uno sguardo al mercato regolamentato predisposto appositamente per la quotazione dei mini-bond si trovano le emissioni già ammesse alla quotazione. Occorre precisare che la quotazione sul mercato regolamentato non è obbligatoria, ma è quella che consente da un lato per l’investitore l’esenzione della ritenuta del 20% sugli interessi e dall’altro per l’emittente consente di superare il vincolo all’importo dell’emissione che in base all’art.2412 del c.c.era pari al massimo a due volte il patrimonio netto.

Come si nota dal grafico, la maggior parte di emissioni quotate all’ExtraMOT Pro sono di grande dimensione, addirittura tra i 200 e i 425 milioni di Manutencoop. CERVED, IVS, Teamsystem, SISAL, Gamenet, RHIAG sono tutte società che annoverano tra i loro azionisti fondi di private equity, i più sofisticati finanziariamente, i più interessati alla leva finanziaria per massimizzare il loro ritorno. Quindi l’avvio del mercato è stato sfruttato soprattutto da società ‘large’ e sofisticate finanziariamente spesso per finanziare operazioni straordinarie o rifinanziare debito bancario esistente. Per ora il totale delle emissioni si avvicina a 2,5 miliardi.

All’estremo opposto tutte le altre emissioni o quasi per società piccolissime, sconosciute e con importi tra 1 e 3 milioni, fatta eccezione per una strana emissione della Sudcommerci srl di 22 milioni, che merita qualche approfondimento in più in un prossimo post  e per la FILCA Coop. Tra le piccole emittenti due società di credito al consumo, la IFIR e la FIDE di Campobasso alla ricerca di fondi per finanziare prestiti personali i cui tassi come noto sono ben superiori a quelli pur cari pagati con l’emissione.

I tassi (si tratta della cedola pagata su base annua) sono compresi prevalentemente tra il 5,5% e il 7,5%, ma ancora una volta l’eccezione è un 2,95% pagato dalla FIDE spa. Tre le emissioni a tasso variabile per CERVED (spread 5,375%) e Rhino Bondco (spread 5,50%) tutte le altre a tasso fisso e la stessa FIDE.

La polarizzazione delle prime emissioni di mini-bond sembra avere una sua logica in relazione all’atteggiamento delle banche: da un lato operazioni di grande volume e di una certa rischiosità, che non potrebbero essere assorbite da una sola banca ma richiederebbero un pool (una forma oggi non più tanto gradita alle banche).  Dall’altro piccole imprese disposte a pagare tassi elevati pur di accedere a fonti finanziarie che difficilmente sarebbero messe a disposizione dalle banche sulla base dei bilanci storici.

Così a una prima valutazione si può dire che il meglio sul mercato debba ancora arrivare: mancano le vere PMI industriali, mancano importi tra i 5 e i 20 milioni, (fatta eccezione per la emissione di FILCA Coop.). Manca insomma quel tipo di emittenti a cui il provvedimento del decreto sviluppo si rivolgeva. Come già detto non sarà semplicissimo convincere una buona media impresa italiana ad indebitarsi al 7%, rinunciando a credito bancario meno costoso, ma non mancheranno le occasioni e le buone motivazioni.  Per ora c’è chi, come il gruppo Bauli, ha già fatto sapere di non avere appetito per i mini bond ‘perché a questi tassi sono troppo onerosi’.

Articolo ripreso da Linkerblog.biz – autore: F. Bolognini