Modalita’ innovative per la gestione del credito tra le aziende sono necessarie

Per qualcuno è stata una necessità, per altri una precauzione, per molti altri imprenditori sarà una scelta da fare, ma succede che sta crescendo il numero di piccole e medie imprese che si stanno esercitando a fare a meno delle banche, vista la difficoltà di ottenere nuovo credito o l’obbligo di cavarsela con riduzioni progressive dei fidi.

Finita la stagione del credito facile, della coda di bancari che venivano a offrire finanziamenti con la modalità della campagna commerciale che oggi usano le società di telefonia e di energia, gli imprenditori ‘fragili’ si sono ritrovati a fare i conti con il loro capitale circolante che non viene più accolto favorevolmente dal sistema bancario, anche a causa dei noti ritardi e insoluti all’italiana.

La solidarietà tra imprenditori

Alcuni hanno scoperto che trattare con altri imprenditori è di gran lunga più facile e veloce che non pregare la propria banca di mantenere o ampliare i fidi.  Questo avviene perché qualsiasi fornitore (escluse le grandi imprese e le multinazionali) prima di perdere un flusso di vendite regolare di questi tempi, ci pensa non una ma due volte e si può rendere disponibile anche ad accettare pagamenti con varie forme e modalità mostrando una flessibilità e una solidarietà tra imprenditori che non era mai stata sperimentata prima.

Il presupposto essenziale è la stima e la fiducia tra i due imprenditori, spesso costruita negli anni a livello personale e non sempre scontata se pensiamo all’effetto negativo provocato dai famosi concordati facili. Dove esiste ancora questa corrente di fiducia reciproca -e per fortuna esiste in moltissimi casi- la solidarietà tra imprenditori attecchisce facilmente e si trasforma in accordi di fornitura e di pagamento creativo, che riavvicinano i nostri piccoli imprenditori ai mercanti del medioevo, quando le banche cominciarono a muovere i primi passi.

In questo modo le ‘imprese zombie‘ (quelle totalmente private del credito dal sistema) sopravvivono e in alcuni casi si riprendono. Le imprese che subiscono decurtazioni graduali dei fidi si stanno allenando a verificare con fornitori e clienti cicli di incasso-pagamento che possano sostenere l’impresa, anche senza ricorso al credito e dove può interviene il factoring (sono notevoli le sollecitazioni in questo senso da parte dell’AD di Banca IFIS Giovanni Bossi) che ha strumenti e mezzi per facilitare piccoli rapporti commerciali.

Questo avviene, ed è normale che sia così, perché le banche non sono imprese in senso stretto e se il rappresentante della banca è il Direttore di Filiale, non ha alcuna autonomia decisionale in presenza di un credito complicato, non è in grado di fare un trade-off tra ricavi futuri e rischi. Gli altri imprenditori lo fanno tutti i giorni.

Alla fine del lungo processo di riduzione degli ‘attivi a rischio ponderato’ (così le banche chiamano i finanziamenti) il sistema bancario si troverà a fare i conti con un sistema di artigiani e imprenditori più smaliziato, svegliato dal lungo sonno drogato del credito facile, che se potranno eviteranno di indebitarsi ancora con le banche e mettere a rischio conto economico (gli interessi rimangono altissimi) e in molti casi la sopravvivenza stessa dell’impresa lo faranno avendo buona memoria di questa crisi e stretta creditizia.

Nel breve per le banche è una buona notizia, se desiderano ridurre il differenziale tra raccolta e impieghi. Nel medio-lungo è invece un ulteriore problema di redditività che scompare e che le banche dovranno velocemente rimpiazzare con servizi diversi e nuovi o imitando le banche straniere che nel trading e nell’investment banking continuano a generare profitti.  Per le piccole banche il problema si pone in modo diverso, ma si pone ugualmente perché proprio le piccole banche non sono sempre così tenere e disponibili quando si tratta di aiutare imprese in difficoltà, a causa del limitato capitale di cui dispongono.

Che il problema riguardi i piccoli imprenditori è dimostrato dl fatto che la semestrale di Unicredit mostra un calo notevole dei flussi di nuovi finanziamenti a medio-termine verso lo Small Business, che per chi non ricordasse è fatto da imprese con meno di 2,5 milioni di fatturato, il 98% delle imprese italiane. E se poi non mi credete leggete questo articolo di Enrico Verga su Il Fatto Quotidiano:

“Si evito le banche, salvo per le operazioni ordinarie (bonifici e spese )” lo dice Rita, imprenditora del varesotto della Lifin Srl.

“Tra spese, commissioni, oneri eravamo arrivati a livelli insostenibili: 4,5 euro a documento, la burocrazia che ti portava via un tasso che dal 6% arrivava fino al 13%”

Nel 2010 il passo decisivo. I soci si siedono intorno ad un tavolo e definiscono una complessa ristrutturazione che durerà circa 6 mesi, analizzano il parco clienti e eliminano quello che è più una spesa che un guadagno.

“All’inizio è stato doloroso. Avevamo tra i nostri clienti i più grandi nomi della distribuzione al dettaglio, le grandi catene che, da sole, muovono il 50% del nostro fatturato italiano. Tuttavia a seguito di fusioni e acquisizioni i loro tempi di pagamento erano diventati insostenibili: 120 giorni, 150 e comunque ritardi sui pagamenti. Eravamo letteralmente in mano alle banche che, in qualunque momento, a loro discrezione, potevano chiedere di rientrare e soffocarci in pochi mesi”. La necessità di scontare le fatture diviene un obbligo per ogni azienda che si trova in questa situazione. Uno scenario familiare a molte piccole medie imprese italiane. Schiacciate tra la triplice sciagura: tasse, creditori che pagano lungo e fornitori/dipendenti da pagare regolarmente.

Uno scenario a cui la Lifin ha trovato una soluzione. “Abbiamo tagliato circa il 35% dei clienti, una scelta difficile ma doverosa. Con i clienti più importanti, dai 30.000 euro in poi di fatturato annuo ci sediamo intorno ad un tavolo e trattiamo. Di solito definiamo uno sconto a fronte di un pagamento parziale anticipato o comunque la definizione di tempi molto precisi e rispettabili.” Una scelta che appare un suicidio, di primo acchito, se si considera il classico assioma di crescita, in cui più si cresce più si è importanti, più si ha credito dalle banche etc..

“I nostri clienti hanno apprezzato, con colossi come Douglas ed Esselunga abbiamo definito dei tempi di 30 giorni, loro rispettano i tempi e noi viviamo sonni tranquilli”.

 

Testo di F. Bolognini – ripreso da Linkerblog.biz