Bankitalia finalmente ha dato l’ok a Primomiglio di Gianluca Dettori. Pronti da investire 50 milioni di Euro in 200 startup.
Un annuncio atteso. «Abbiamo cominciato a ragionarci quattro anni fa. Poi, un paio di anni fa, col recepimento anche in Italia della direttiva Aifmd. Le regole per investire sono cambiate – racconta Gianluca Dettori, fondatore di Vitaminic prima e dPixel– così è cambiato anche il nostro progetto. Che era nato inizialmente come una serie di fondi seed collegati a percorsi di accelerazione». Oggi è Primomiglio. La neonata società di gestione del risparmio ha lanciato il primo fondo d’investimento collegato, Barcamper Ventures. Abbiamo cercato di capire cosa vuol dire il lancio di un fondo di venture. E cosa significa per chi fa startup in Italia.
1. Cosa succede ora che c’è l’autorizzazione di Bankitalia
Dettori e il team dietro Primomiglio da lunedì ufficialmente possono operare nel campo in cui sono stati autorizzati a operare come società di gestione del risparmio. Quindi cominciare a raccogliere gli impegni da investitori per 50 milioni di euro, obiettivo di raccolta del fondo. Una volta che i sottoscrittori del fondo avranno raggiunto una soglia minima (in gergo questa cosa viene detta ‘first closing’) il fondo potrà iniziare l’attività di investimento. Barcamper Ventures investirà in circa 200 startup in fasi diverse. Potrà investire da un minimo di 25.000 euro fino a round sopra il milione di euro.
2 Cosa vuol dire creare un fondo di venture in Italia
«Lanciare un fondo di venture in Italia è un percorso a ostacoli. D’altronde fa parte delle difficoltà che conosce bene chi opera nel mercato italiano. Prima di tutto per trovare gli investitori che siano interessati». Il venture parla con Investitori istituzionali. Fondazioni bancarie, enti previdenziali, società nel campo delle assicurazioni, banche, family office. Ma anche enti pubblici come le regioni, che si stanno dotando di strumenti di investimento in fondi di venture. «In Italia ci sono centinaia di investitori istituzionali», continua Dettori. Uno studio dell’Aifi pubblicato nel 2013 ne conta circa 800. Gestioni di patrimoni di diverse decine di miliardi di Euro, ma pochissimi di questi investono nel venture. «Investire in startup è secondo noi un buon mode per diversificare un portafoglio di investimenti. Il venture rientra in quella categoria di investimenti detti in alternative asset a cui spesso i gestori guardano per costruire un portafoglio di rischi più bilanciato. In Italia gli investitori ancora non conoscono e hanno difficoltà a comprendere e valutare i rischi di cosa significhi investire in startup. Gli investitori sono interessati ma ancora non comprendono questa classe di investiment. Il mercato del venture capital è ancora all’inizio, dopo che è nato e si sta sviluppando un mercato delle startup, occorre ora che si strutturi un mercato degli investitori.
3. Perché gli investitori sono ancora poco attratti dal venture
«Purtroppo quello che manca oggi, è la disponibilità di investitori di venture con un track record», salvo alcune eccezioni esistono pochi venture capitalist che possono vantare quello che è uno dei pochi parametri per giudicare l’investimento in un fondo: il ‘track record’ del team di gestione. Non si possono garantire risultati nel venture capital, quindi nel fare valutazioni normalmente si guarda alla performance passata di quel team di investimento. Nel caso del nostro primo fondo, partimmo nel 2010, quindi solo nel 2020 (un fondo di venture dura mediamente 10 anni, ndr) conosceremo effettivamente i ritorni generati dagli investimenti e quindi il rendimento effettivo finale per gli investitori».
Ma se in Italia gli investitori istituzionali ci sono, quanti di questi investono nel venture? «Pochissimi purtroppo. Il motivo non è chiaro. Quando con Aifi lo abbiamo chiesto le risposte sono state delle più varie. Alcuni non sapevano cosa fosse il venture o le startup, altri dicevano che non era previsto nella loro strategia di investimento. Altri ancora che non era previsto nello statuto. Di fatto manca la consapevolezza di cosa sia fare venture capital in Italia. La mia sensazione che così come è stato necessario diffondere ‘startup culture’ per creare un mercato di startup occorre adesso diffondere ‘venture culture’ per sviluppare un mercato di investitori in startup».
4. Una questione culturale: in Italia siamo all’anno zero
E’ una questione culturale. Di fatto in Italia si comincia a cambiare partita. Abbiamo delle startup. 6mila dice il registro delle imprese. Anche se quelle vere fossero la metà sarebbe un buon numero. Alcune ben strutturate, con una buona crescita sul mercato. C’è la base su cui investire ed è continuamente alimentata da nuove startup. Adesso tocca creare un mercato del venture che possa far fare all’ecosistema dell’innovazione il salto di qualità. Una nuova sfida, che deve coinvolgere chi in Italia gestisce i grandi stakeholder. «E’ un percorso che sta cominciando a crearsi ora. Gli investitori stanno comiinciando a farsi le competenze per analizzare questo settore, molti investitori istituzionali da quando è stato regolamentato il settore del venture (con il recepimento della direttiva AIFMD) hanno cominciato a ragionare di inserire questa asset class nelle loro strategie di investimento».
I bassi tassi di interesse stanno aiutando le startup. Oggi il denaro rende poco, questo sposta radicalmente il punto di vista di chi deve investire capitali, rendendo più attrattivi investimenti anche altamente rischiosi come le startup. Gli investimenti in startup, anche se più rischiosi, potrebbero fare gola agli investitori. Ed è questa la speranza di Dettori. «Il momento è favorevole. Alla questione di tassi di interesse, si deve aggiungere che oggi ci sono due altre condizioni essenziali per fare venture capital. La prima è che c’è la possibilità di fare un veicolo di investimento Italiano. Primomiglio SGR ad esempio è una cosiddetta SGR ‘sotto soglia’, regolamentazione per gestori che hanno meno di 500m di euro in gestione. Questo consente di parlare con investitori istituzionali che possono solo investire in determinate tipologie di strutture. Ma soprattutto in Italia esiste da qualche anno un investitore, il Fondo Italiano Investimenti, pronto a fare da ‘anchor investor’, ovvero quel tipo di investitore pronto a fare anche significativi committment e pronto ad investire in nuove iniziative di venture senza il quale un nuovo fondo non può partire.
5. Il fundraising: cosa vuol dire sottoscrivere un fondo
Il fundraising è il momento in cui chi lancia un fondo di investimento deve convincere gli investitori della bontà del suo progetto, della validità del suo team, della capacità di execution e dell’opportunità di investire capitali in startup. «In questi giorni mi rendo conto che spesso prima di tutto devo spiegare cosa sono le startup e cosa è il venture capital prima di poter parlare di Barcamper Ventures. Durante una delle primissime riunioni pensavo fosse scontato per gli investitori come funziona il nostro fondo, Invece mi sono reso conto che è fondamentale spiegare tutto il funzionamento del settore. Come si investe in startup? Come funziona il contratto? Come si generano le exit? Come funziona un fondo di venture? Come funziona la strategia di investimento e perché? Il team è in grado di farcela? Mi sono reso conto che è fondamentale non dare nulla per scontato e spiegare tutto.”
Già. Perché un fondo di venture ha un meccanismo suo. Investire in un fondo di venture capital significa firmare l’impegno a versare i soldi per la propria quota man mano che gli investimenti si materializzeranno, cioè nell’arco dei dieci anni tipici di durata del fondo stesso. «In pratica funziona così. Quando viene effettuato un investimento in una startup, vengono ‘richiamati’ gli impegni degli investitori, che devono versare la propria quota per effettuare il finanziamento. Stesso meccanismo ma inverso quando si tratta dell’uscita dall’investimento. «Comunicheremo agli investitori che abbiamo venduto le quote di una startup nel portafoglio, versando proquota i proventi della exit. Quindi, per fare un esempio, quando leggiamo che Cisco ha sottoscritto 5 milioni del fondo Invitalia Ventures, vuol dire che Cisco ha dato a Invitalia una disponibilità vincolante di 5 milioni da investire in startup che il suo team di gestione guidato da Salvo Mizzi andrà ad individuare.
6. Perché la vera sfida dell’ecosistema comincia adesso
Perché è importante sapere questo? Perché è qui che si gioca la nuova partita dell’ecosistema. Nel progetto di Dettori e di tutti i pionieri che oggi hanno dei fondi di venture capital. Da questi primi investimenti si formeranno track record e potranno nascere nuovi fondi di venture e nuovi capitali potranno essere investiti. Tra 10 anni, si spera, cominceremo ad avere un mercato del venture significativo, in linea con nazioni simili a noi come ad esempio la Francia. Con operatori accreditati e investitori che conoscono e praticano questa asset class. «La sensazione è quella in cui ti senti a questo punto la startup che deve trovare gli investitori che credono in quel progetto e in quel team. Se il settore delle startup continuerà a svilupparsi, la nuova sfida dell’ecosistema ora è quella di costruire un mercato degli investitori ed aggiungere almeno uno zero alla scala degli investimenti in Italia».
7. Investire soldi di altri che investono soldi di altri
Aprire un fondo in Italia è anche tanta burocrazia. Un «passaggio tecnico, cioè per l’autorizzazione della Banca d’Italia». I tempi sono lunghi, ma ragionevolmente. Alla fine noi andremo a gestire i soldi degli altri che a loro volta investono soldi degli altri. Ci abbiamo messo nove mesi per uscirne».
Un percorso lungo, regolato dalla normativa Aifmd. E’ quella europea dedicata a tutti i fondi di investimento: prevede l’applicazione ai gestori di regole di condotta, di trasparenza informativa e di requisiti patrimoniali, organizzativi e di controllo dei rischi analoghi a quelli previsti per le società di gestione di fondi comuni armonizzati. L’interesse – anzi, il sostegno – è di nomi importanti come il Fondo italiano d’investimento, che è il cornerstone investor del fondo, e Banca Sella Holding (“nostro partner storico”), Unindustria Bologna a cui si sono aggiunti Fondazione Puglia e Società Reale Mutua di Assicurazioni. «La strada è segnata dall’intelligenza artificiale, dall’internet delle cose, dalla stampa 3d. L’idea è dare rilevanza allo scenario italiano che è ricco di belle opportunità».
8. Come avverrà la scelta delle startup di Primomiglio
«Riceviamo circa 2mila candidature l’anno, un migliaio di queste vengono selezionate e i team incontrati di persona in meeting di venti minuti – spiega Dettori sulla direzione che darà al fondo, riservato a investitori qualificati Mifid, cioè secondo le prescrizioni della direttiva europea del 2004 recepita in Italia nel 2007, o istituzionali – dunque attingeremo fondamentalmente da quel flusso. Saremo relativamente agnostici quanto ai settori prescelti. Dal software all’Ict passando per i digital media, big data, Internet of things ma anche hardware, penso alla prototipazione. D’altronde rispetto a 10 anni fa, quando si investiva molto sui social network, sul customer care e su altri fronti, oggi è cambiato tutto. La strada è segnata dall’intelligenza artificiale, dall’internet delle cose, dalla stampa 3d. L’idea è dare rilevanza allo scenario italiano che è ricco di belle opportunità». Non mancheranno puntate all’estero, in Europa e negli Stati Uniti, ma il primo di quella che si spera una serie di fondi di Primomiglio si concentrerà appunto sulle startup italiane. Dovranno uscirne 200 nell’arco di un quinquennio. “Investiremo in un range fra 25mila euro e 2-3 milioni, prediligendo impegni allo stadio iniziale”.
Articolo ripreso da startupitalia.eu – autore: A_Rociola – startupitalia.eu/60006-20160707-fondo-di-venture-capital-primomiglio