Parte da Roma e arriva nel Nord Italia una proposta fuori dagli schemi classici. Si tratta della comunità di utenti di Noinet, una cooperativa romana senza finalità di lucro, già attiva sul litorale romano, in alcuni quartieri di Roma e nel Viterbese.
A spiegare la politica della coop sociale è il fondatore Pierluigi Paoletti che il 2 ottobre al teatro Busnelli di Dueville nel Vicentino è stato protagonista, per la prima volta nel Veneto, di un incontro pubblico durante il quale si è confrontato anche con una piccola platea di amministratori locali di diversi schieramenti. «Bisogna partire da un punto fermo – spiega – ovvero quello per cui la qualità della connessione in Italia non è eccelsa a fronte di un alto costo rispetto alla resa».
Chi smanetta su internet con un po’ di malizia sa che quando i vari operatori propongono agli utenti privati abbonamenti o consimili, nella migliore delle ipotesi si viaggia ad una velocità di 20 megabit al secondo (nominali, mai garantiti) in fase di scaricamento dei dati sul proprio pc. Mentre si viaggia a velocità di un ventesimo inferiore quando dal proprio pc si sparano i propri dati verso il web. Di più: anche se la potentissima fibra ottica passa vicino alle case, nell’ultimo tratto di connessione con l’utenza finale si usa ancora il doppino telefonico, un filo di rame, che dopo qualche anno di usura perde le sue qualità di conduttore degli impulsi elettrici. Insomma nel Belpaese, anche dove è garantito un servizio standard, la cosiddetta adsl va al minimo sindacale.
«Di contro la nostra forza – continua Paoletti – sta nel fornire ai nostri utenti, che poi sono anche i soci della cooperativa, dieci megabit garantiti contemporaneamente in download e dieci mega garantiti in upload, una connessione che in gergo si chiama simmetrica e che sul mercato costa sui 500 euro mensili. Pc e dati alla mano siamo pronti al confronto».
In buona sostanza il meccanismo identificato da Noinet funziona più o meno così. Quando il numero di utenti che intendere accedere al servizio sorpassa la soglia delle cento o duecento unità la onlus si mette in moto chiedendo un contributo di iscrizione di duecento euro procapite, restituibili se in futuro si abbandona il gruppo. La somma raccolta permette di identificare una zona in cui è presente la fibra ottica, che è la dorsale (una sorta di autostrada) che trasporta i dati a velocità virtualmente infinite. Poi, una volta identificato il sito in cui spillare il flusso da questa autostrada telematica, attraverso un sistema di antenne, piazzate in genere sui tetti delle case, il segnale viene condiviso fra i membri di questa cellula o nodo, i quali utenti oltre ad avere un accesso velocissimo al web realizzano una rete interna in qualche modo privata e separata – in gergo una rete intranet – dentro la quale lo scambio delle informazioni è ancora più veloce. Non solo: eventuali plusvalenze sono indirizzate ad attività socialmente utili come la fornitura gratuita dell’accesso alla banda larga a scuole e biblioteche. Inoltre all’interno della rete intranet, a mezzo di antenne wi-fi rivolte alla strada o sulle piazze, gli abbonati possono connettersi anche con i loro tablet o smartphone usando proprio il wi-fi.
Parole precise rispetto alle quali fa il paio un altro dato poco conosciuto all’opinione pubblica. In Italia la fibra ottica già posata «è spenta, cioè inattiva, all’80%». Uno sperpero in termini di potenzialità tecnologica. E tale assetto, lo si legge negli atti parlamentari che hanno preparato la legge Mammì o la legge Gasparri, è anche stato favorito dal legislatore che dagli anni ’80, per non entrare in collisione col duopolio Rai-Mediaset, non ha incentivato la diffusione della fibra ottica (sulla quale non passa solo il segnale internet, ma pure quello della tv). Se a tutto ciò si aggiunge che esperienze come quelle di Noinet «sono replicabili» magari in simbiosi con «gli enti locali» e con il supporto «dei fondi strutturali che l’Ue mette a disposizione», allora la partita potrà giocarsi su un tavolo ben più ambizioso.
Gli investimenti sulla banda larga che facciano la differenza possono essere realizzabili a prezzi ben più contenuti rispetto ai molti miliardi di euro che solo nel Veneto sono destinati ad opere come la Spv, la Orte-Mestre, la Valsugana bis e altre. Ora, se non si procede in una direzione auspicata in primis da utenti e piccole imprese, il motivo non può che essere duplice. O manca la consapevolezza della questione, oppure a livello politico c’è l’idea precisa di non smantellare la rendita di posizione attualmente in mano ai grossi player, operatori telefonici in primis. Non è un caso che il 2 ottobre a Dueville molti amministratori presenti all’incontro abbiano chiesto a Paoletti: «Ma noi che cosa possiamo fare?».
Articolo ripreso dal sito vvox.it – autore: Marco Miloni
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.