Un po’ di storia del Bitcoin

Chiamarla moneta “virtuale” ormai è riduttivo. Quattro anni dopo la nascita di questa valuta digitale (2009), negli Stati Uniti ormai si moltiplicano gli esercizi commerciali “fisici”, che esibiscono in vetrina l’annuncio “Bitcoin accepted here”.

Hanno cominciato a proliferare nella Silicon Valley californiana, poi si sono diffusi in tutta la West Coast, infine in altre zone degli Stati Uniti. Si tratta ancora di una minoranza, e per lo più sono dei locali che si rivolgono a una clientela giovane, tecnologica. Accettare i Bitcoin è una discreta trovata pubblicitaria per far parlare di sé e attirare l’attenzione. Poi si vedrà.

Altro sintomo del successo di Bitcoin è il boom delle imitazioni. Un’inchiesta del Wall Street Journal dedicata a queste “cripto- valute” ne ha contate 80. La più antica, Litecoin, nacque nel 2011 quindi appena due anni dopo Bitcoin. Ma è in tempi recenti che il successo di Bitcoin e la pubblicità sui media hanno provocato il boom dei cloni. A ottobre e novembre di quest’anno sono nate Gridcoin, Fireflycoin, Zeuscoin. Si sono aggiunte alle pre-esistenti Worldcoin, Namecoin, Hobonickels. La febbre delle imitazioni ha un nome: si parla ormai di “criptomania”. Un altro momento di gloria per le cripto-valute c’è stato la scorsa settimana, quando la loro regina ha fatto il suo ingresso al Congresso.

I parlamentari di Washington per la prima volta hanno dibattuto seriamente sul fenomeno Bitcoin. A far scattare le audizioni congressuali, per la verità, era stato un campanello d’allarme. Di recente l’Fbi ha chiuso un sito, Silk Road, che faceva pagare in Bitcoin gli acquisti online di droga. Al termine delle audizioni, dopo aver sentito il parere delle forze dell’ordine e dell’autorità monetaria, il Congresso è arrivato ad una conclusione rassicurante per i fautori della cripto-valuta: Bitcoin è una moneta legittima, anche se ha bisogno di essere regolata e sottoposta a controlli onde evitare che sia usata per business criminali.

Bitcoin fu creata nel 2009 da un collettivo che si nasconde sotto uno pseudonimo giapponese: Satoshi Nakamoto. La sua caratteristica più originale è la modalità di creazione della “base monetaria” o liquidità digitale. A differenza delle valute tradizionali, non esiste una banca centrale con il potere monopolistico ed esclusivo di stampare moneta. Chiunque può “coniare” Bitcoin, ma a condizione che sappia risolvere con l’ausilio del suo computer dei problemi matematici complessi. Il numero di Bitcoin che può essere creato ha un limite, dunque la “liquidità” non può essere aumentata all’infinito… a differenza di quel che la Federal Reserve sta facendo con i dollari.

I Bitcoin possono essere scambiati solo nel formato digitale, non esistono “su carta”. Il loro valore viene fissato in tempo reale su delle vere e proprie Borse globali, dove gli investitori comprano e vendono il bene raro. E qui s’incontra un primo problema serio che può compromettere il futuro di Bitcoin. E’ la sua eccessiva volatilità. Per fare un esempio: nel gennaio di quest’anno Bitcoin valeva 13 dollari; la scorsa settimana durante le ore di massima visibilità e attenzione collegate all’audizione al Congresso, il suo valore ha toccato i 900 dollari. La quotazione media della settimana scorsa, 548 dollari, corrisponde a una circolazione globale di Bitcoin pari a 6,6 miliardi di dollari. Per altri beni d’investimento la volatilità può essere un effetto collaterale della febbre speculativa: abbiamo visto l’oro andare su e giù sulle montagne russe negli ultimi anni.

Ma una moneta, usata come mezzo di pagamento nelle transazioni commerciali di tutti i giorni, deve avere una certa stabilità. Sappiamo che i periodi di iperinflazione, quando il potere di acquisto delle monete era aleatorio, fecero gran danno all’economia, ai risparmi, alle tasche dei consumatori. Lo stesso può valere per la deflazione, quando la moneta si rivaluta troppo. Una moneta troppo soggetta alla speculazione non è rassicurante, né per noi consumatori né per i commercianti, se con essa dobbiamo andare a fare la spesa.

Alcuni stanno cercandosi delle soluzioni rudimentali, per poter continuare a usare Bitcoin proteggendosi dalle fluttuazioni selvagge. E’ il caso di un’agenzia viaggi online basata a Los Angeles, CheapAir.com, che nel suo settore è la prima ad accettare i Bitcoin come pagamento per l’acquisto di biglietti aerei. Jeff Klee, chief executive di CheapAir, ha deciso di affidarsi a un intermediario, la società Coinbase, che gli gestisce il sistema di pagamenti e “isola” il suo business dal rischio di cambio: cioè dal rischio che improvvisamente i Bitcoin che lui ha accettato perdano una parte del loro valore.

La vicenda di CheapAir è un caso da manuale che illustra le contraddizioni della moneta digitale. Non c’è dubbio che una delle attrattive di Bitcoin sta nel fatto di fare a meno delle banche: sia le banche centrali, sia quelle di deposito. In un’epoca in cui i banchieri sono odiati per i danni inflitti all’economia mondiale e alle condizioni di vita di ciascuno, una moneta non-bancaria esercita un fascino indubbio. E tuttavia l’accorgimento adottato da CheapAir per tutelarsi dall’eccessiva volatilità, in qualche modo equivale a dare spazio a una nuova forma di intermediazione bancaria. L’operazione che fa la società Coinbase per il suo cliente, è quello che nel gergo dei trader si chiama “hedging” ovvero copertura del rischio, in questo caso il rischio di cambio. Manca poco, e sentiremo parlare di boom dei derivati di Bitcoin.

 

Articolo ripreso da Affari & Finanza, supplemente di La Repubblica