Quattro necessita’ per salvare l’economia in Europa

Archiviata la “questione greca” con la vittoria dei partiti favorevoli ai piani di austerità imposti ad Atene da Ue, Bce e Fmi, il mercato fa il punto della situazione in Europa e delle sfide ancora presenti sul tavolo della crisi del debito governativo. Il vecchio continente può fondamentalmente mettere in campo quattro strategie per far fronte al problema.

Disciplina fiscale

Fino ad ora l’Europa ha cercato di risolvere la questione principalmente attraverso l’austerità, cioè cercando di obbligare a massicci taglio di spesa non solo la Grecia ma anche gli altri paesi considerati più deboli (Italia, Spagna, Portogallo e Spagna che, insieme ad Atene formano i famigerati Piigs). Questo però si è rivelato meno agevole del previsto poiché questo tipo di approccio di solito aumenta la debolezza economica di uno stato facendo diminuire gli introiti delle tasse e peggiorando il deficit. In un orizzonte temporale di lungo periodo è possibile ridurre il rapporto fra debito e Pil attraverso graduali cambiamenti nella politica fiscale, soprattutto se i tassi di interesse restano più bassi dei tassi di crescita dell’economia. Concentrarsi così tanto sull’austerity, tuttavia, non aiuta. La Germania ha cercato di creare un’unione fiscale che fornisse una sorta di controllo esterno sui budget degli stati. Ma questo tipo di accordo richiede tempo prima di poter funzionare perché necessita della cooperazione di tutti i governi che fanno parte dell’Ue. Un elemento che non è quasi mai facile ottenere.

Aiuti

La Germania ha già dato 11 miliardi di euro alla Grecia, mentre le sue banche hanno allungato altri 34 miliardi. La Francia ci ha messo altri 8 miliardi che si sono andati ad aggiungere ai 53 miliardi sborsati dagli istituti transalpini. E’ evidente che questi due paesi (e Berlino in particolare) sono riluttanti a frugarsi ancora le tasche. Un fondo di sostegno – lo European Financial Stability Fund (Efsf, poi confluito nell’Esm, European stability mechanism) – è stato messo in piedi con compiti molto generali e spesso assai vaghi. Tra l’altro si appoggia principalmente sulle spalle di Germania e Francia, visto che le altre due grandi economie della regione (Italia e Spagna) sono più fruitori del fondo che non contribuenti. Continuare su questa strada è principalmente una decisione politica che, fondamentalmente si fonda sulla voglia e la possibilità di Berlino e Parigi di sostenere l’euro ed evitare il tracollo delle banche. Secondo molti commentatori ci sono ancora spazi di manovra, ma la libertà di movimento è quasi arrivata al limite.

Ristrutturazione del debito

La Grecia ha già ristrutturato buona parte dei suoi debiti (i creditori hanno dovuto rinunciare a più del 53% di quanto gli spetta) ed è probabile che il nuovo governo ellenico arriverà ad una ridefinizione degli accordi con la Troika. L’esito probabile è che molte banche che hanno in cassa debito greco dovranno essere ristrutturate. Questa è un’operazione che può essere fatta senza che i conti correnti dei clienti ne soffrano. In America la Federal Deposit Insurance Corporation (un’agenzia governativa che si occupa di sicurezza bancaria) lo fa di continuo. E’ indubbio però – e si è già visto in passato – che quando il sistema bancario zoppica la politica inizia a tremare e i mercati si fanno prendere dal panico.

Intervento delle Banche centrali

Gli istituti monetari possono comprare debito governativo e immettere denaro nel sistema economico e finanziario. Se l’operazione è temporanea si parla di “iniezione di liquidità”. Ma se la banca centrale non rivende i titoli acquistati o i governi non ripagano i loro titoli di debito l’operazione, de facto, diventa l’equivalente del battere nuova moneta. L’obiezione che fa la Germania a nuovi interventi della Bce non è soltanto quella che creerebbero dell’inflazione (peraltro non dovuta alla naturale dinamica della domanda e dell’offerta di beni), ma anche che violerebbero i trattati esistenti. Fra questi, quello che vieta l’aiuto a singoli paesi europei.

Un quadro complesso

Concentrarsi sulla cornice, tuttavia, rischia di distrarre dall’analisi dei diversi elementi che compongono il quadro. La Grecia rappresenta il 2,5% del Pil dell’Eurozona; il Portogallo l’1%. Entrambi gli stati potrebbero andare in default e uscire dal perimetro della moneta unica. Certo, questo nel breve causerebbe un po’ di trambusto, ma non si tratterebbe di un evento inaspettato, non distruggerebbe l’area euro e non porterebbe gli Stati Uniti in recessione. La Spagna, però, è un’altra storia: è la quinta economia d’Europa e la 12esima del mondo. Posizioni che hanno ben presente anche i tedeschi, visto che il cosiddetto “miracolo tedesco” dipende in larga parte dalle esportazioni nel sud della regione. Dire nein a una richiesta di aiuto da parte di Madrid, per Berlino sarebbe una risposta poco furba.

C’è poi la questione italiana che i mercati, se si dà retta all’andamento dei bond, considerano simile a quella iberica. E’ vero che i rendimenti delle obbligazioni tricolori sono più bassi di quelli dei Bonos, ma la forbice nelle ultime settimane si sta restringendo. Segno che, almeno per i mercati, il Belpaese potrebbe essere il prossimo nella lista di chi ha bisogno di una mano. Il problema, secondo gli analisti di Tcw, è che l’Italia, con un debito pubblico di quasi 2mila miliardi di euro (equivalente al 120% del Pil) è troppo grande per essere salvata con i metodi tradizionali e questo forzerebbe le autorità europee a trovare nuove misure per carecare di mettere la parola fine alla crisi della regione.

Germania vs Francia

Non vanno dimenticati i rapporti fra Germania e Francia che stanno affrontando un nuovo capitolo da quando Francois Hollande è arrivato all’Eliseo e i suoi alleati hanno avuto la maggioranza in parlamento. Con il predecessore di Hollande, Nicolas Sarkozy, il Cancelliere tedesco, Angela Merkel, sembrava aver stretto un patto di ferro per portare fuori l’Europa dalla tempesta seguendo sostanzialmente la stessa rotta. Il nuovo presidente francese, ha però una bussola tutta sua. Hollande, ad esempio, vuole portare l’età pensionabile di alcune categorie di lavoratori francesi da 62 a 60 anni, mentre i tedeschi l’hanno portata a 67. “Alla luce delle dimensioni e della capacità di influenza dei due paesi nell’area, uno scontro fra Francia e Germania probabilmente rappresenta il pericolo più grande al futuro e all’esistenza stessa della zona euro”, spiega Fred Copper, Senior portfolio manager di Columbia Management Investment Advisers. “Molto dipenderà da come il presidente Hollande eseguirà il suo mandato per cercare di far combaciare le sue politiche con quelle della Germania”.

Le scelte operative

“E’ evidente che stiamo per entrare in un nuovo periodo di volatilità”, spiega uno studio di Putnam Investments. “In Europa la politica sta facendo quello che le è permesso dai rapporti e dagli equilibri fra gli stati. Ma nonostante gli sforzi di trovare una linea comune, le divergenze fra i paesi membri dell’Ue restano pericolosamente ampie. In un momento del genere il mercato farà particolarmente attenzione ai profili di rischio degli asset di investimento. Anche valutazioni una volta ritenute interessanti potrebbero oggi passare in secondo piano a causa di un minore appetito per gli strumenti considerati più audaci. Per queste ragioni in questo momento è necessario avere un approccio di tipo globale puntando su aziende che hanno una visione internazionale”.

 

Articolo ripreso dal sito fondonews.it