Quello che le banche non dicono sulle modalità di concessione del credito

Mi sembra che nelle ultime settimane il dibattito sulla stretta del credito alle imprese si sia spostato su temi di ‘finanza alternativa‘, come il ripristino del circuito delle cartolarizzazioni o l’emissione di obbligazioni, oppure gli interventi che Draghi sta cercando di mettere a punto per convogliare la liquidità verso l’economia reale.

Tutto questo fervore sulla finanza alternativa al credito bancario è interessante ma poco pratico: la ripresa del mercato asset-backed (titoli garantiti da nuovi prestiti alle PMI) e la nascita di un mercato di mini obbligazioni richiederanno parecchio tempo e presentano non poche aree grigie. Non sono una soluzione a breve termine.

E intanto cosa succede nel rapporto tra banche e imprese? Gli spunti raccolti sul campo nei primi mesi dell’anno sono più concreti e dicono che il rapporto tra piccole imprese e credito rimane critico:

Tempi di risposta estremamente lunghi. Forse il problema peggiore, al di là delle promesse fatte nei piani industriali dalle banche sull’accorciamento dei tempi di risposta le prove su strada raccontano di tempi che spesso superano i tre mesi per avere risposta a una richiesta di credito. Ho sentito casi in cui dopo sei mesi si è ancora in  sala di attesa.

Garanzie. Con la preoccupazione che tutte le banche hanno di contenere il rischio  è cresciuta esponenzialmente la richiesta di garanzie sui nuovi fidi, ma anche sui vecchi per rinnovarli. Garanzie a prima richiesta da parte dei consorzi di garanzia fidi, da parte del Fondo di Garanzia del Ministero dello Sviluppo, garanzie personali. Il meccanismo della fiducia si è inceppato e la priorità delle banche è diventata la riduzione del capitale che deve essere allocato sui rischi di credito. Più garanzie significa meno capitale sullo stesso rischio in portafoglio. Lo scarico di rischio è in atto e la pressione sui Confidi sta salendo ulteriormente.

Riduzioni graduali degli affidamenti su imprese con rating peggiori. Uno stillicidio pericoloso solo apparentemente corretto e tipico delle politiche di gestione del credito che funzionano in tempi non di crisi e recessione. Ridurre il fido da 300.000€ a 200.000€ non è alla prova dei fatti una decisione lungimirante nel contesto odierno. In questa fase le banche devono decidere a quali imprese dare credito e a quali dire che il loro rischio non è più accettabile.

O dentro o fuori, o con l’impresa oppure concordare un’uscita chiara e ben diluita.Togliere di punto in bianco 100.000€ significa non decidere, spesso mette in difficoltà l’impresa e per giunta aumenta il rischio delle altre banche perché quei 100.000€ tolti improvvisamente e non rimpiazzabili possono innescare un processo di insolvenza anche irreversibile. Inoltre la maggior parte di queste ritirate strategiche, di queste riduzioni con il contagocce non sono precedute da una franca discussione con l’imprenditore sui motivi. Nella maggioranza dei casi sono decisioni prese da un’impersonale ‘Direzione’ con cui l’imprenditore non ha mai avuto modo di dialogare e spiegare come va davvero la propria piccola impresa. Altro che dialogo, questa è incomunicabilità.

Costi sempre in crescita: il calo dello spread BTP Bund, la ritrovata liquidità del sistema bancario non è più un problema reale. I tassi sui prestiti alle imprese dovrebbero scendere almeno dell’1%. Le statistiche di Banca d’Italia mostrano un leggero calo, ma nella stragrande maggioranze le piccole imprese segnalano il contrario: tassi rigidi e molto elevati, commissioni disponibilità fondi applicate su qualsiasi forma tecnica e non negoziabili. L’effetto sui bilanci 2012 si vede, oneri finanziari sistematicamente in aumento. Il 2013 non sembra avere cambiato molto.

Comportamenti difformi tra banca e banca, a volte molto differenti come se le valutazioni dello stesso rischio fossero diametralmente opposte. Comportamenti difformi persino tra persone della stessa banca. Il cambio di un direttore di filiale, mi segnalano alcuni piccoli imprenditori, può diventare il motivo di innalzamento delle barriere di diffidenza e invertire completamente la disponibilità verso nuove operazioni di credito. Spesso in peggio.

Diffidenza verso le nuove imprese o start-up, che si traducono nella richiesta immediata di garanzie personali o patrimoniali o nel rimando della decisione di molti mesi aspettando che la nuova impresa… non sia più nuova e si presenti con un bilancio positivo, un flusso di ricavi e margini solido. E’ ovvio che non è così che si possono fare crescere le nuove imprese. O forse è proprio così: abituandole a non contare sul debito bancario.

In sintesi non ci sono ancora sul campo segnali di miglioramento: credito difficile, razionato e soprattutto grande distanza e diffidenza tra bancari e piccoli imprenditori con i confidi nel mezzo a fare da cuscinetto ammortizzatore (con sempre meno patrimonio disponibile e con la Banca d’Italia che stringe la sorveglianza sulle sofferenze).

Pochi progressi spesso lasciati alla buona volontà di quella parte dei dipendenti bancari che riesce ancora -nonostante lo strapotere di Basilea2 e del mantra del rating- ad interpretare il proprio ruolo e mestiere con la voglia di assumere qualche ragionevole rischio, di dare fiducia alle idee e gli sforzi dell’imprenditore, nonostante la stagione della riduzione del personale non induca più nessuno a mettere a rischio il proprio posto di lavoro. Sono oramai due anni di stretta creditizia, le associazioni degli imprenditori stanno facendo salire il loro grido di protesta, ma intanto non è stato fatto veramente nulla di concreto e tutte le promesse o gli annunci di segnali della ripresa sono stati sistematicamente smentiti.

Autore testo: Bolognini Franco da linkerblog.biz