Ridurre la dipendenza delle imprese dal settore bancario una impresa impossibile

Non sono mai mancati in passato i richiami alla necessità di ridurre la dipendenza delle nostre imprese dal sistema bancario, attraverso la creazione di un mercato dei capitali che fosse più vicino alla dimensione e all’efficienza di quelli stranieri. Periodicamente sono stati fatti tentativi di rilancio di segmenti della Borsa dedicati solo alle PMI e, anche se in misura molto inferiore, al mercato del debito rappresentato da obbligazioni emesse direttamente dalle imprese verso investitori.

Nessuna iniziativa è mai stata coronata da vero successo negli ultimi 30 anni: il sistema delle micro, delle piccole e anche delle medie imprese rimane attaccato alla mammella del sistema bancario e, salvo qualche raro caso, ne subisce l’andamento ciclico, un andamento che è stato alquanto esasperato dall’introduzione dei meccanismi di vigilanza contenuti nell’accordo di Basilea2 e nell’utilizzo spesso meccanico del rating per calcolare il consumo di capitale. Ma ora che il latte nelle mammelle si è inaridito, il problema si ripropone in pieno ed è lo stesso sistema finanziario e la stessa autorità di vigilanza che auspica una riduzione del gradi di dipendenza dal credito bancario per le imprese.

L’intervento più recente in materia è quello del vice direttore generale della Banca d’Italia, Fabio Panetta, a un convegno a Perugia dal titolo emblematico (“Oltre la crisi: quale futuro per le banche italiane?”) dal quale citerò alcuni passaggi interessanti: Il sistema bancario italiano ha dimensioni contenute in rapporto all’economia reale. Le sue attività complessive ammontano a 2,7 volte il prodotto interno lordo, un valore significativamente più basso di quello degli altri maggiori paesi, con l’eccezione degli Stati Uniti. Le banche rivestono però un ruolo preminente nel finanziamento delle imprese: il credito bancario rappresenta oltre due terzi dei debiti finanziari delle aziende, rispetto a circa un terzo in Francia nei paesi anglosassoni e alla metà in Germania; tra i maggiori paesi, dall’avvio della crisi la quota è aumentata solo in Italia.

Il mercato dei capitali ha invece un peso limitato nel finanziamento delle imprese. La dotazione di capitale di rischio non è dissimile da quella di altri paesi: il valore della leva finanziaria, pari a circa il 50 per cento, è in linea con quello che si registra in Giappone, in Germania e in Gran Bretagna. È superiore rispetto a Stati Uniti e Francia.

[…] È limitato anche il ricorso ai prestiti obbligazionari, la cui consistenza non raggiunge l’8 per cento dei debiti finanziari delle imprese (fig. 2). Solo poche aziende italiane emettono obbligazioni sul mercato dei capitali (in media 10 all’anno nell’ultimo decennio); anche in questo caso, nel confronto internazionale si registra un ritardo significativo e in aumento negli anni più recenti . Considerazioni analoghe valgono per altri strumenti di ricorso (diretto o indiretto) al mercato, quali le cartolarizzazioni di attività di bilancio.

[…]  Una delle conseguenze delle ridotte dimensioni medie delle imprese italiane è la bassa domanda di servizi finanziari, quali l’assistenza alla quotazione, l’emissione di titoli, il collocamento di prestiti sindacati: si tratta di servizi ampiamente utilizzati dalle grandi aziende ma assai poco dalle imprese piccole, per loro natura meno trasparenti, con un numero ristretto di soci e non presenti sui mercati dei capitali. In passato si è più volte provato ad avvicinare le imprese italiane al mercato, riducendo i costi di quotazione, offrendo sgravi fiscali alla quotazione o all’emissione di azioni, costituendo segmenti del mercato borsistico dedicati a imprese piccole e innovative. Si è intervenuti per migliorare gli standard informativi, la liquidità dei titoli, la qualità della governance. I risultati sono stati deludenti.

Ma anche le banche hanno talora ritenuto di poter trarre vantaggio dallo scarso sviluppo dei mercati. La dipendenza dal credito limita il potere negoziale delle imprese, consentendo condizioni contrattuali più favorevoli alle banche in termini di costo. L’evidenza empirica a tale riguardo è scarsa, ma indica che la quotazione in borsa e l’accesso al mercato obbligazionario comportano un calo del costo del credito anche per imprese di grandi dimensioni, meno soggette a “cattura” da parte delle banche di riferimento.

[…] Da un lato le banche stanno riducendo – sono costrette a farlo – la dimensione complessiva del bilancio in risposta a fattori sia congiunturali sia strutturali, quali la nuova regolamentazione sul capitale e sulla liquidità, le pressioni di mercato a ridurre il leverage, l’alto costo del funding, l’elevato rischio di credito, la bassa redditività. Le tensioni nell’offerta di credito emerse a più riprese nei mesi scorsi sono il riflesso di questi fattori. Dall’altro lato, le imprese registrano un calo della capacità di autofinanziamento e un forte aumento del volume di pagamenti pendenti da parte delle Amministrazioni pubbliche: in tale contesto è cruciale, anche per aziende sane, disporre di un’adeguata disponibilità di finanziamenti esterni.

Questa pericolosa condizione di stallo – dovuta all’effetto congiunto della minore offerta di credito e dell’accresciuta dipendenza del sistema produttivo dai finanziamenti esterni – può essere superata ampliando il ricorso diretto ai mercati, con benefici considerevoli sia per le imprese, sia per le banche.

Tutto quanto ha detto Panetta è vero, persino ovvio. Quindi il punto non è tanto ciò che ha detto, ma capire se quando la Banca d’Italia scende in campo per dire alle banche che devono darsi da fare per disintermediare il proprio bilancio -che in passato si confrontava sul volume dei finanziamenti alla clientela e oggi si confronta più su utile o perdite- se ‘la pericolosa condizione di stallo’ sarà sufficiente per le banche nello sviluppo di un micro-mercato del debito per le PMI, sin qui ucciso proprio dalla volontà monopolistica che il vice direttore generale della banca centrale esprime senza troppe riserve: non avere mercati alternativi ha fatto molto comodo alle banche.

A mio parere non succederà nulla di importante, forse qualche episodio isolato, ma per vedere un vero mercato ampio e trafficato di debiti obbligazionari di aziende con fatturati tra 5 e 50 milioni dovremmo prima stravolgere le regole con cui agiscono gli efficienti mercati finanziari: il rapporto rischio/rendimento, il taglio delle operazioni, la liquidità degli investimenti nel caso di pronto smobilizzo. Al massimo riusciremo a fare qualche mercatino rionale di breve durata.

A meno che qualcuno si ricordi che esiste la parola innovazione anche nel sistema bancario e non solo nelle imprese.

 

Articolo ripreso dal sito Linkerblog.biz – Autore: Fabio Bolognini