Dopo la cessione del 29,99% della Snam alla Cassa Depositi e Prestiti, primo passo per creare un gestore indipendente nella distribuzione del gas, l’Eni si preparerebbe ad avviare la vendita della Saipem, la controllata società di ingegneria del gruppo.
Giorni fa, l’amministratore delegato dell’Eni, Paolo Scaroni, unitamente a tra alti dirigenti, aveva ricevuto un avviso di garanzia, per presunte tangenti pagate per ottenere appalti in Algeria da parte della Sonatrach, l’azienda di Stato che controlla l’estrazione di idrocarburi.
Un avviso di garanzia che, presumibilmente, per come vanno le cose in Italia, comporterà le non tanto dimissioni forzate di Scaroni quanto il ridimensionamento delle velleità espansionistiche dell’Eni sui mercati internazionali.
Un ridimensionamento che, presumibilmente avverrà attraverso lo spezzatino dell’Eni, l’unico gruppo mondiale del settore presente in tutte le tappe della filiera del petrolio e del gas, quindi dalla loro ricerca fino alla commercializzazione finale. Un gruppo che in tal senso era stato pensato da Enrico Mattei, in maniera che potesse muoversi in totale autonomia su un mercato monopolizzato dalle allora Sette Sorelle americane e anglo-olandesi e dalle compagnie francesi.
Scaroni, comprendendo l’antifona, ha sostenuto che l’Eni ha sempre considerato la Saipem come strategica, ma che gli ultimi episodi “ci portano a ripensare il rapporto di lungo periodo”. Vendere il controllo di Saipem, di cui Eni detiene il 43,9% non rappresenta una priorità ma nel futuro sarà una questione sulla quale riflettere.
Insomma Scaroni, con il cambio di regime che si prospetta, al di là delle questioni giudiziarie, si sente posto tra l’incudine e il martello. E poco potrà servirgli il fatto di essere stato in ottimi rapporti oltre che con Berlusconi anche con Romano Prodi.
Lui viene identificato comunque come un uomo che era nelle grazie del Cavaliere e che accompagnò nei viaggi in Russia quando vennero gettate le basi per un maxi accordo di fornitura di gas tra Gazprom ed Eni da qui fino al 2040. Ma non solo questo. Scaroni sentì che il terreno gli franava sotto i piedi quando gli atlantici, anglo-americani e francesi, nel 2011, dopo aver rifornito di armi i ribelli di Bengasi, decisero di spazzare via Gheddafi ed il suo regime.
Ed era stato sempre Scaroni a supportare il ritorno in forze dell’Italia in Libia e la ratifica dell’accordo a tre del 2010 tra Roma, Tripoli e Mosca grazie al quale la Russia rimetteva ufficialmente piede nel Mediterraneo. Una svolta intollerabile per gli atlantici anglofoni che bene comprendevano i pericoli che potevano nascere per loro dal punto di vista economico e geopolitico. Mentre al contrario la Francia di Sarkozy aveva dei conti personali da regolare con il Colonnello.
Altra questione che aveva molto maldisposto gli anglo-americani verso l’Eni era stato l’accordo con la Gazprom per realizzare il gasdotto South Stream attraverso il Mar Nero che rendeva del tutto inutile il Nabucco sostenuto da Washington e pensato per aggirare da Sud la Russia e portare in Europa il gas di Paesi come Azerbaijan e Turkmenistan.
Insomma è da tempo che sul’Eni si addensano nubi che promettono tempesta ed allora, complice anche la nascita del governo Monti che, per qualità dei suoi membri, non è molto ben predisposta verso l’Eni e verso un suo utilizzo nell’ottica di garantire l’interesse nazionale, all’inizio del 2012 è stata realizzata la vendita di quasi il 30% della Snam alla CDP.
La prima tappa per fare nascere un gestore indipendente e soprattutto per togliere all’Eni la gestione della rete del gas. Del resto perché stupirsi? Certi decisioni sono frutto anche di pesanti pressioni. Nel 2011 il responsabile di un fondo di investimento Usa, Knight Winke, titolare di una quota azionaria del 2% dell’Eni, che ogni momento tirava fuori la necessità di scorporare la Snam dall’Eni, aveva velenosamente e minacciosamente affermato che tale operazione era considerata dalla finanza americana molto più importante della riduzione del debito pubblico per giudicare l’affidabilità finanziaria dell’Italia.
Della serie: o vendete la Snam oppure, in alternativa, date segni tangibili che volete venderla, o da Wall Street ripartirà la speculazione contro i vostri Btp e lo spread con i Bund tedeschi tornerà alle stalle ed in tal modo salteranno tutti i vostri piani finanziari pubblici. Quasi il 30% della Snam è stato venduto, ora ci si aspetta qualcosa di analogo per la Saipem con la scusa di garantire, agli occhi degli investitori (e degli speculatori) internazionali “una maggior trasparenza nella gestione”.
Fonte: rinascita.eu