Satoshi Nakamoto il creatore di Bitcoin e’ stato finalmente trovato?

Ha generato grande eccitazione online un lungo articolo di Newsweek in cui si annunciava, con un certo compiacimento, di avere trovato il principale inventore di Bitcoin, la valuta virtuale più diffusa, conosciuta e discussa al mondo.

L’articolo è il pezzo di copertina della rivista, che dopo 15 mesi di riorganizzazione e diverse traversie finanziarie questa settimana è tornata a essere stampata su carta – oltre a esistere online – e racconta attraverso numerose testimonianze la storia di Dorian Prentice Satoshi Nakamoto, un ingegnere di origini giapponesi che da anni vive in California, negli Stati Uniti.

Confrontando le informazioni sulla sua vita e le poche informazioni circolate sul principale ispiratore di Bitcoin, di cui si sa solo che si chiama “Satoshi Nakamoto”, la rivista ha concluso che i due Nakamoto siano con ogni probabilità la stessa persona, con un patrimonio di valuta virtuale che si stima abbia un valore intorno ai 400 milioni di dollari (o comunque un milione di Bitcoins). A poche ore dalla pubblicazione online dell’articolo, il Nakamoto trovato da Newsweek ha però smentito categoricamente di avere qualcosa a che fare con Bitcoin alla Associated Press.

Prima di arrivare alla smentita di Nakamoto, è opportuno vedere che cosa dice l’articolo di Newsweek. La sua autrice, Leah McGrath Goodman, racconta di essere risalita a quello che ritiene essere l’artefice di Bitcoin dopo due mesi di indagini, ricerche e numerose interviste, che l’hanno portata a escludere che Satoshi Nakamoto potesse essere uno pseudonimo, come ipotizzato da molti negli ultimi anni. Cercando tra gli elenchi dei cittadini stranieri naturalizzati negli Stati Uniti, Goodman ha trovato una possibile corrispondenza e ha iniziato a indagare su Dorian Price Satoshi Nakamoto. Ha scoperto che è un appassionato di trenini elettrici e da uno dei suoi fornitori ha ottenuto un indirizzo email per contattarlo.

Per un po’ di tempo la corrispondenza tra i due è andata avanti parlando di locomotive e vagoni, cosa che ha permesso a Goodman di guadagnarsi la fiducia di Nakamoto. Dopo alcuni scambi di email, la giornalista ha provato a introdurre l’argomento Bitcoin, ma appena lo ha fatto Nakamoto ha smesso di risponderle e non si è più fatto sentire. Goodman ha quindi cercato diversi suoi parenti per ottenere qualche informazione in più, scoprendo che il possibile inventore di Bitcoin ha 64 anni e che è nato a Beppu, in Giappone. Nel 1959 si è trasferito negli Stati Uniti insieme con la madre e i suoi due fratelli. Vive a Temple City, nella contea di Los Angeles, con la madre che ora ha 93 anni. Ha lavorato per diverse società e per l’esercito degli Stati Uniti, con incarichi per lavori spesso secretati.

Il fratello più giovane, Arthur, ha spiegato che Satoshi è molto intelligente “ha grandi capacità di concentrazione e un modo di pensare alquanto eclettico”. Arthur è stato meno generoso nella descrizione del carattere di suo fratello: “È uno stronzo. Ha lavorato su diversi progetti coperti da segreto. Un pezzo della sua vita manca completamente. Non riuscirà a chiarire le cose con lui. Negherà tutto. Non ammetterà mai di essere stato l’artefice di Bitcoin”. Arthur e Satoshi non vanno molto d’accordo e si parlano raramente.

Satoshi Nakamoto ha sei figli: il più vecchio lo ha avuto con la sua prima moglie, mentre gli altri cinque sono nati durante il suo secondo matrimonio con Grace Mitchell. Negli anni Ottanta Nakamoto lavorò per diverse società a progetti legati all’elettronica e a sistemi di comunicazione per l’esercito degli Stati Uniti. Mitchell spiega che raramente il marito raccontava qualcosa dei suoi incarichi, ma le cose migliorarono quando lavorò per alcune società informatiche nella zona di Los Angeles nei primi anni Novanta. I nuovi incarichi rendevano poco e Nakamoto accumulò debiti e la sua casa fu pignorata dalla banca con cui aveva contratto un mutuo. Secondo una delle sue figlie, la vicenda avrebbe suscitato una particolare avversione da parte del padre per le banche, cosa che per Goodman potrebbe spiegare perché a un certo punto abbia deciso di inventarsi un sistema di pagamento alternativo come Bitcoin, che non prevede intermediari per le transazioni di denaro tra chi vende e chi compra.

Nei primi anni Duemila, Nakamoto si separò dalla moglie. Tornò a vivere nel New Jersey dove lavorò per la Federal Aviation Administration, l’agenzia federale statunitense per l’aviazione civile, ma poco dopo gli attentanti dell’11 settembre 2001 perse il lavoro e tornò in California. Goodman non è riuscita a ricostruire molto sulla vita che da allora Nakamoto ha condotto a Temple City perché ci sono pochissime informazioni sul suo conto, e anche i suoi familiari sembrano non sapere molto su che cosa abbia combinato negli ultimi anni.

Per colmare le lacune, la giornalista di Newsweek si è messa in contatto con Gavin Andresen, l’informatico capo della Bitcoin Foundation, la fondazione che dal 2012 si occupa di proteggere e garantire un corretto sviluppo della valuta virtuale. Andresen ha collaborato con Nakamoto tra il 2010 e il 2011 per sviluppare e migliorare il sistema per lo scambio online dei bitcoin. Dice di non avere mai conosciuto di persona Nakamoto e di avere sempre e solo parlato con lui attraverso il forum utilizzato dagli sviluppatori del progetto. Ha collaborato a migliorare il codice e a organizzare il lavoro dei programmatori che avevano il compito di ripulirlo, perché le prime versioni realizzate da Nakomoto erano molto ingarbugliate, per quanto geniali, ed era quindi necessario metterle in ordine.

Andresen non ha mai sentito Nakamoto nemmeno al telefono. A Goodman ha spiegato che il suo interlocutore “è una di quelle persone che, se fai un errore, finiscono per darti dell’idiota e non rivolgerti mai più la parola”. Andresen ricorda che almeno ai primi tempi, quando non era del tutto chiaro se creare una valuta virtuale alternativa fosse legale, molti preferivano partecipare al progetto mantenendo il più stretto anonimato. Nakamoto era di sicuro uno dei più attenti, e ha continuato a non dare informazioni su se stesso per tutta la durata del progetto: “Parlava solo di codice”.

Dopo diversi mesi di collaborazione, Andresen spiegò a Nakamoto di avere accettato un invito da parte della CIA per spiegare il funzionamento di Bitcoin e gli obiettivi che avevano portato alla sua nascita. Gli disse che in questo modo avrebbe potuto convincere le istituzioni e le autorità di controllo sulla bontà del progetto. Da quel momento in poi Nakamoto non si fece più sentire e sparì.

Oltre alle testimonianze di chi lo ha conosciuto, di persona o a distanza, Goodman ha anche studiato il documento che nel 2008 Satoshi Nakamoto diffuse online per illustrare l’idea alla base di Bitcoin e i fondamentali per capire il suo funzionamento. La giornalista ha confrontato il testo con altre cose scritte da Dorian Prentice Satoshi Nakamoto, trovando diverse similitudini. Entrambi, per esempio, usano due spazi dopo il punto prima di iniziare una nuova frase. E questo potrebbe essere un altro indizio sul fatto che i due Nakamoto siano la stessa persona, conclude Newsweek.
Il nome completo del Nakamoto trovato da Goodman deriva dalla sua decisione a 23 anni di cambiare il proprio nome. Aggiunse a “Satoshi Nakamoto” i nomi “Dorian Prentice” nel 1973. Da allora non ha più usato il nome Satoshi firmandosi e facendosi chiamare “Dorian S. Nakamoto”.

Dopo avere raccolto diverse informazioni e non avere più ottenuto risposta alle email che gli inviava, Goodman è andata direttamente a Temple City per parlare di persona con Nakamoto, che però non l’ha presa benissimo. Davanti alle insistenze della giornalista, ha chiamato la polizia. Gli agenti arrivati sul posto l’hanno invitata a lasciare la proprietà di Nakamoto che, stando all’articolo di Newsweek, avrebbe risposto alle domande di Bicoin dichiarando solamente: “Non sono più coinvolto e non ne posso parlare. È stato affidato ad altre persone. Sono loro a capo della cosa, non ho più alcun legame con loro”.

L’articolo di Newsweek ha suscitato un grande interesse online e per Dorian Prentice Satoshi Nakamoto. Nelle ore seguenti alla pubblicazione online del pezzo, diversi giornalisti hanno raggiunto la sua casa di Temple City per intervistarlo. Il presunto inventore di Bitcoin ha invitato la stampa ad andarsene e ha detto che avrebbe parlato a un solo giornalista, in cambio di un invito a pranzo. L’ha spuntata Ryan Nakashima di Associated Press, che ha avuto la possibilità di trascorrere due ore con lui.

Nakamoto ha negato di avere mai avuto qualcosa a che fare con Bitcoin e di non averne nemmeno mai sentito parlare fino a tre settimane fa, quando uno dei suoi figli gli disse di essere stato contattato da una giornalista di Newsweek per un articolo su di lui. Ha ammesso che molte delle informazioni riferite nell’articolo pubblicato sulla rivista sono corrette e che effettivamente il suo nome, prima di cambiarlo, era semplicemente “Satoshi”, ma su Bitcoin ha detto chiaramente di “non averci nulla a che fare”.

Nakamoto ha detto di essere stato frainteso quando ha detto a Goodman di non essere “più coinvolto” nella gestione della valuta virtuale. In realtà, ha spiegato ad Associated Press, intendeva dire che non si occupa più di ingegneria. Durante l’intervista ha inoltre sbagliato diverse volte il nome della moneta chiamandola “bitcom” e riferendosi al sistema come se fosse gestito da una grande società, cosa che non è.

Al suo intervistatore, Nakamoto ha detto di essere rimasto sorpreso nel leggere così tanti dettagli sulla sua vita privata su Newsweek. Non immaginava che la giornalista avesse intervistato così tante persone che lo conoscono per scrivere il suo articolo. Sul fatto di avere una vita professionale molto riservata, Nakamoto ha ricordato di avere assunto negli anni diversi lavori con contratti di riservatezza sulle sue attività.

La giornalista che ha scritto il lungo articolo per Newsweek ha detto ad Associated Press di essere convinta di avere compreso perfettamente il breve scambio di parole che ebbe con Nakamoto il giorno che lo andò trovare a casa, prima che fosse allontanata dalla polizia: “Non c’è stato alcun tipo di confusione sul contesto della nostra conversazione, né sul fatto che abbia riconosciuto di essere coinvolto con Bitcoin”. In seguito alle polemiche e alle critiche dovute alla pubblicazione dell’articolo, Newsweek ha pubblicato un breve comunicato per difendere la sua giornalista e la sua inchiesta, ricordando comunque che il dibattito intorno a simili lavori giornalistici è indispensabile “per una stampa libera”.

 

Articolo di Emanuele Mineti – ripreso da ilpost.it del 7 marzo 2014