Lasciamo alle complicate alchimie tra il MEF, la Banca d’Italia e la BCE il parto cesareo della Banca per lo Smaltimento delle Sofferenze, ben sapendo che tutto si gioca sulla garanzia che lo Stato italiano potrà o non potrà concedere per avvicinare i prezzi di carico nei bilanci delle banche con i prezzi di mercato dei NPL.
Lasciamo alla stampa il godimento di proporre geometrie variabili nel risiko delle banche popolari, che cambia le coppie ogni giorno. Superiamo l’imbarazzante catarsi delle assemblee delle stesse banche popolari in cui i piccoli soci di fronte a ingenti perdite, a svalutazioni dei titoli non quotati, hanno avuto modo chi di sfogarsi contro il management, chi di ricordare i fasti del passato, mentre pochi di loro si sono domandati quanti altri aumenti di capitale saranno ancora chiamati a sostenere. Dimentichiamo per un secondo che una delle più vecchie banche del mondo, Monte dei Paschi di Siena, è stata rovinata a tal punto da non potere più avere un futuro indipendente. C’è qualcosa d’altro di cui penso si debba parlare in tema di credito.
La maggiore area di vulnerabilità del sistema bancocentrico italiano (lo ha detto anche l’IMF) sono le sofferenze, cioè i prestiti con bassa probabilità di rimborso, saliti da 40 a 180 miliardi negli ultimi 5 anni.
L’afflusso di sofferenze dal portafoglio crediti, soprattutto alle imprese, rallenta ma non si arresta e viaggia anche nel 1° trimestre 2015 a tassi superiori al 10% annuo. Il principale bacino di provenienza delle sofferenze sono i famosi ‘incagli‘ ora ridenominati ‘inadempienze probabili’. Concentriamoci sulla massa di incagli, pari a circa altri 100 miliardi: se dovessero tutti trasformarsi in sofferenze avremmo un impatto durissimo sui conti economici delle banche che dovrebbero accantonare altri 30-40 miliardi di profitti/utili/capitale a copertura delle perdite per raggiungere il livello voluto dalla BCE, attorno al 60% del valore facciale. Se sulle sofferenze c’è ben poco da fare per riportare i debitori alla solvibilità totale, sugli incagli c’è invece molto da fare e nulla andrebbe lasciato intentato. Salvo i casi -temo numerosi- in cui si sta ancora etichettando come incaglio una vera e propria sofferenza.
La qualità e la traiettoria delle banche italiane verso il risanamento ha molto a che fare con la gestione degli incagli, con la loro dimensione e con i flussi di spostamento. Per questo motivo consiglio di guardare i dati espressi dal bilancio 2014 per questi numeri critici e apprezzare quanto ampie siano le differenze tra banca e banca.
Le differenze sono palpabili. Banco Popolare e Popolare Vicenza hanno uno stock più elevato e rischioso di incagli, mentre UBI Banca e BPM mostrano numeri molto più contenuti. La media del gruppo è a livello 7,2%. il totale delle 8 banche fa 25,5 miliardi dei 100 totali.
Ancora più segnaletico, a mio avviso, il dato di flusso, in totale quasi 9 miliardi ‘freschi’, nel particolare molto basso per Popolare Bari e UBI Banca, preoccupante per Banco Popolare e BPER che hanno visto in un solo anno rispettivamente il 4,3% e il 3,7% del loro ‘buon’ portafoglio crediti diventare altamente rischioso.
Che si tratti di revisioni tardive o regolari il fatto che il 4% dei prestiti si avvii sulla strada dell’insolvenza deve fare riflettere sull’intero processo di concessione e di gestione del credito. Raramente gli effetti cessano in un solo anno, più probabilmente queste stesse banche hanno un rischio più elevato di subire nuovi ingressi di crediti problematici e comunque i due dati insieme stanno ad indicare quanto sforzo all’interno della banca deve essere indirizzato a spegnere incendi, invece che a costruire buone storie di intermediazione creditizia e buoni profitti. Nei nuovi piani industriali ci sono e ci saranno pagine nuove dedicate al miglioramento dei processi di monitoraggio del credito. Sin qui i programmi attuati hanno funzionato abbastanza male, le azioni proposte in passato inefficaci.
Ci saranno o non ci saranno le conclamate sinergie nelle future fusioni tra banche popolari? Non so, in passato s’è visto pochino, ma è certo che per chi ha intenzione di sposarsi un occhio a questi numeri dovrebbe fare capire qualcosa di più del futuro a cui vanno incontro. Gestire e riportare gli incagli allo stato di bonis è assai faticoso, soprattutto se chiusa una falla se ne aprono due. Perché molte volte la qualità è più importante della quantità e del numero.
Il mio parere è che nell’attività di sminare gli incagli sia nascosto ben più valore in miliardi di capitale risparmiabile che non nel taglio dei costi e delle persone, quello che i grandi consulenti strategici hanno elegantemente nascosto sotto la parola ‘sinergie’.
Articolo di F_Bolognini – ripreso da linkerblog.biz
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