“In generale l’Italia sta mantenendo un mix di elevata qualità nella performance dell’export e l’adattabilità delle piccole imprese specializzate rimane un’area di forza. Tuttavia la piccola dimensione sta diventando sempre meno vantaggiosa e persino i settori più innovativi sono impattati negativamente dalle barriere strutturali che hanno depresso la produttività su vasta scala. Il grado di competitività dell’Italia nei prossimi anni dipende dalla piena implementazione dell’agenda di riforme strutturali”.
Comincia così il rapporto da poco pubblicato da IMF e intitolato “European Productivity, Innovation and Competitiveness: The Case of Italy”, 23 pagine da leggere attentamente, che analizzano grado di competitività e ruolo dell’innovazione nella quota italiana di esportazioni, nel contesto di una recessione importante che -cita il rapporto- è materia di preoccupazione per l’intera Unione Europea.
La prima parte del paper IMF mette in dubbio il metodo tradizionale di misurazione della produttività basato sul costo unitario del lavoro (UCL) che indicherebbe un netto peggioramento del grado di competitività italiana. Le mancate riforme sul costo del lavoro hanno certamente provocato un disaccoppiamento tra salari e produttività, creando un gap di competitivtà.
Tuttavia la performance dell’Italia nell’export (come citato nello studio Symbola-Fondazione Edison) non sembra averne sofferto troppo, abbiamo tenuto le posizioni e recentemente “il buon andamento dell’export italiano nonostante la caduta della domanda globale ha mostrato la capacità di tenuta degli esportatori italiani”.
Lo studio indica che il divario di competitività se misurato con indicatori basati sul PPI o sul valore aggiunto nelle filiere di fornitura globale spiegherebbe meglio la tenuta delle esportazioni italiane.
Nella seconda parte lo studio distingue il livello di competitività in due categorie: una tecnologica, basata su innovazione (R&D e design) e una più tradizionale basata sui costi. E’ sulla parte tecnologica che stiamo perdendo posizioni rispetto a USA e altri paesi EU, ma le imprese che esportano hanno in qualche modo compensato e superato il problema, grazie alla capacità di innovazione incrementale delle PMI specializzate, soprattutto nei settori tradizionali e di specializzazione.
“La forza relativa degli esportatori italiani può anche riflettere la loro capacità di combattere la concorrenza alzando il livello qualitativo dei propri prodotti” “Alcune ricerche recenti mostrano il persistente successo dell’Italia nel mantenere un’elevata qualità nel suo mix di esportazioni”.
Purtroppo il futuro desta qualche preoccupazione e la tenuta dell’export italiano non è garantita in eguale misura secondo i ricercatori dell’IMF: “Guardando i fornitori di beni specializzati, l’Italia sembra avere registrato qualche successo nel focalizzarsi su prodotti ad elevata crescita, ma il grado di competitività è nondimeno preoccupante. La competitività del settore forse non è ancora un problema critico -poiché è migliore rispetto a paesi come Francia e UK e storicamente non distante dalla Germania. Ma guardando al futuro il fatto che un grado di competitività sempre più debole stia continuando a erodere la quota di mercato globale dell’Italia indica che l’export di fornitori-specializzati potrebbe non essere più il punto di forza che è stato in passato.”
Una prospettiva che va a integrare ed equilibrare il giudizio un po’ troppo patriottico formulato dalle 10 verità di Symbola e che fornisce ulteriori spinta alle riforme strutturali che è sempre più critico attuare subito.
Articolo di Bolognini F. – fonte: linkerblog.biz
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