Nel 1968 Jerry Butler scalò le classifiche dei single americani con una canzone dal titolo ‘Only the strong survive’ (Solo i più forti sopravvivono) un ritornello che viene ancora oggi trasmesso nelle radio nella versione disco forse più famosa di Billy Paul.
Questo ritornello comincia a essere fischiettato sempre più forte anche dai bancari italiani e non è tanto divertente, perché si parla delle famose imprese che ‘ce la fanno’ rispetto a quelle che che devono scomparire perché non hanno la forza per sopravvivere e quindi sono una mina vagante per il sistema bancario che non può più accettare un flusso di mancati rimborsi (sofferenze) come quelli sperimentati dal 2008 a oggi.
Credo che si tratti di un cambiamento non banale. Se le banche stanno davvero metabolizzando il principio di una moria di imprese, soprattutto piccole, perché la legge del mercato non lascia spazi a chi guadagna troppo poco, non ha capitale e fatica a rimborsare i debiti, se stanno accettando con un certo distacco la morte biologica di una parte non banale (10-20%?) dei propri clienti imprenditori, allora le regole del gioco sono veramente cambiate. E poiché troppi bancari stanno ripetendo frasi simili negli incontri con i clienti il sospetto è più che fondato.
Questa selezione della specie-imprenditore aleggia da tempo e forse nel 2013 è entrato nel circolo, nella prova della verità. Se è davvero così significa che le banche sono pronte a staccare la spina a un bel numero di imprese nelle cui capacità di recupero e imprenditoriali non credono. I deboli dovranno sopravvivere senza credito e da queste pagine io li sto invitando a considerare seriamente la fattibilità dell’opzione ‘senza banche’. La storia del territorio che sostiene i figli ricchi e quelli poveri e brutti, invocata per salvare Banca Marche e Carige, forse è già vecchia.
E’ fattibile questo capitolo darwiniano della piccola impresa? Lo chiederei prima di tutto a chi li rappresenta (Confartigianato, Confcommercio, CNA) e che sta ancora lottando nella difesa di tutti gli associati. Ma lo si può chiedere anche alle banche per capire se hanno fatto stime dell’impatto sul loro conto economico e sul loro capitale da una pulizia di massa. Giuro di non avere la risposta, ma sono scettico che l’Italia nelle condizioni attuali si possa permettere anche questo. C’è chi sembra pensarla nello stesso modo come Mario Seminerio, alias @phastidio, che rispondendo a una domanda di Advise Only prefigura il rischio di fallimenti a catena, che non farebbero gran che bene al Paese:
AO – Quali sono secondo lei le migliori carte che, realisticamente, l’Italia si può giocare nei prossimi 12 mesi per rimettersi in carreggiata?
Non sono moltissime. Cercare alleanze europee per produrre uno stimolo comunitario di domanda aggregata. Sfruttare l’ipotetica ripresa globale (ancora debole ed incerta) per compiere una vera ristrutturazione della propria economia in termini di liberalizzazioni dei mercati del lavoro e dei prodotti. Compiere ogni sforzo possibile per reperire risorse ed abbattere il cuneo fiscale, perché se non facciamo questo, l’alternativa saranno tagli delle retribuzioni nominali ed una catena di fallimenti privati che rischiano di portare a destabilizzare, progressivamente, anche il debito sovrano. Quello che non andrebbe fatto, di certo, è perseguire questa politica disfunzionale fatta del feticcio del 3% di deficit/PIL da raggiungere con logica miope e provvedimenti disfunzionali. Anche per questo sono e resto pessimista sulla reale possibilità di evitare il peggio.
E nello stesso momento sul fronte della vita vera si registrano picchi di concordati, che sono sempre più spesso l’anticamera del fallimento. Ne parla oggi anche Emilia.Net:
E’ boom di richieste di concordato a Modena. Nel primo semestre di quest’anno, rispetto allo stesso periodo del 2012, c’è stato un aumento addirittura del 150% di imprenditori che hanno chiesto di attivare le procedure per accordarsi con i creditori ed evitare così il fallimento. Mentre nel trimestre tra aprile e giugno si sale fino al 350%. Percentuali che vanno ben oltre il doppio rispetto al 66% della media nazionale (dove però appena il 15% delle richieste viene accolto). Dati che secondo la Cna di Modena, mettono in evidenza l’abuso di questo strumento nella nostra provincia. Il rischio dunque è che si vada a tutelare maggiormente i debitori anziché i creditori creando una distorsione nel mercato locale a causa degli effetti sui rispettivi fornitori. Un allarme che arriva dagli stessi imprenditori.
Il dibattito e’ aperto.
Articolo di Bolognini Fabio – testo da linkerblog.biz
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