Taglio di capelli al debito greco

Dopo il quasi fallimento della banca francese Dexia, il problema delle conseguenze del default della Grecia, ed eventualmente di altri paesi europei, sul sistema bancario europeo, segnalato dal Fondo monetario qualche settimana fa, è balzato tardivamente all’attenzione dei governi europei.

La questione non è più se la Grecia farà default, ma quale taglio di capelli (taglio del valore attuale dei debito) si avrà con la ristrutturazione. Da questo dipenderanno le conseguenze sul sistema bancario internazionale.

IL PIANO DI RISTRUTTURAZIONE

Nel mese di luglio l’Institute of International Finance, l’associazione dei maggiori tra i grandi istituti finanziari internazionali, e la Commissione europea hanno messo a punto una proposta di ristrutturazione del debito greco che viene incontro all’esigenza di coinvolgere il settore finanziario privato nelle perdite (Psi, private sector involvement), evitando che i costi del fallimento greco ricadano sui soli contribuenti e che vengano premiati quanti hanno investito in modo sconsiderato. Lo scambio si prefigge di mobilizzare risorse per 54 miliardi di euro dal 2011 al 2014 per arrivare a un totale di 135 al 2020, una bella parte del debito greco stimato a circa 350 miliardi.

La partecipazione, che si vorrebbe volontaria aspirando a coinvolgere il 90 per cento dei detentori di debito greco, consiste nello scambio dei titoli attuali con quattro nuovi titoli. L’idea è quella di offrire un menù di possibilità tra le quali i diversi operatori possano scegliere a seconda delle proprie necessità e del loro orizzonte temporale.

Due dei nuovi titoli hanno lo stesso valore nominale di quelli che rimpiazzano, ma scadenze molto più lunghe, trenta anni, e tassi molto inferiori, tra il 4 e il 5 per cento. Gli altri due, che maturano dopo trenta e quindici anni, comportano invece uno “sconto” sul valore nominale, ma tassi di rendimento più elevati, tra il 6 e il 6,8 per cento nei diversi anni.

Infine, i primi tre tipi di nuovi titoli godono di una garanzia piena (parziale per il quarto) sul loro valore nominale: il governo greco si indebita con il fondo salva-stati Esfs, compra titoli a tripla A che lascia come collaterale in un conto presso terzi a garanzia dei creditori.

UN ESEMPIO

Le principali critiche a questa proposta di ristrutturazione è che è troppo generosa per i creditori e onerosa per la Grecia: la garanzia avrebbe la conseguenza di accrescere i tassi di interesse per i nuovi strumenti e risulterebbe in un “taglio di capelli” per i creditori di solo il 21 per cento, quando per tornare solvibile la Grecia avrebbe bisogno di ridurre il valore del proprio debito almeno del doppio, addirittura il 50 per cento per alcuni osservatori. Facciamo un esempio: pagando rendimenti reali intorno al 4,5 per cento, e riuscendo a crescere all’1,5 per cento annuo, un avanzo primario del 3 per cento del Pil permetterebbe alla Grecia di stabilizzare il proprio debito al 100 per cento del Pil, quando oggi il debito è intorno al 160 per cento. Il che richiederebbe un “taglio” del 37,5 per cento (= 60/160).

QUALE TAGLIO?

Pochi giorni fa il quotidiano tedesco Bild riportava che il governo tedesco avrebbe messo in cantiere un piano di salvataggio (Soffin) per le banche tale da metterle in grado di resistere a un “taglio di capelli” del 50 per cento e, per farvi fronte, esisterebbe già un fondo di 12 miliardi nel bilancio tedesco per il 2012. La domanda che ci si pone è dunque: converrebbe alla stessa Grecia una conversione, necessariamente “forzosa” con un taglio cosi ampio? La risposta è che non è detto.

Un recente lavoro di Cruces e Trebesch ricostruisce un data set completo di 180 casi di default sovrani in 68 paesi dal 1970 al 2010 e calcola il taglio di capelli associato a ciascun episodio. Gli autori trovano che la severità del default (dimensione del taglio) comporta costi notevoli per il paese debitore, sia in termini di maggiori spread dopo la ristrutturazione, sia di una più lunga esclusione del paese dal mercato internazionale dei capitali. (1) I principali risultati sono che un aumento di circa 20 punti percentuali nel taglio si associa in media a) a un aumento di 150 punti base negli spread pagati dal paese sui nuovi titoli nel primo anno dopo la la ristrutturazione, e di circa 70 punti base dopo quattro-cinque anni; b) esso comporta una riduzione del 50 per cento nella probabilità di poter di nuovo accedere a prestiti internazionali negli anni successivi alla ristrutturazione.

Dunque, è plausibile ritenere che l’haircut si collocherà a un livello intermedio tra l’attuale 21 per cento implicito nelle proposte oggi in discussione e il 50 per cento richiesto da alcuni osservatori.

Articolo ripreso dal sito lavoce.info