La tecnologia Blockchain come vero motore invisibile del Bitcoin Scopriamola assieme

La blockchain è il registro pubblico e pseudonimo (non anonimo) che contiene tutte le transazioni di bitcoin effettuate nel corso della storia. Scopriamo assieme meglio come funziona.

Nel 2014 sono stati scambiati più di 23 miliardi di dollari in Bitcoin, la moneta elettronica creata nel 2009 da un anonimo conosciuto con lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto. I dati sono stati diffusi da Bitpay, uno dei sistemi di elaborazione di pagamenti automatizzato per le transazioni di Bitcoin, il “Paypal dei Bitcoin” come lo definisce lo stesso fondatore Tony Gallippi.

Rispetto al 2013, le transazioni sono aumentate del 57%. Contemporaneamente la quantità di portafogli attivi sono diventati quasi 8 milioni e i commercianti che hanno iniziato ad accettare pagamenti in Bitcoin hanno raggiunto quota 100mila.

Dall’altra parte abbiamo gli investimenti dei fondi di venture capital che in questo settore sono aumentati del 342%, passando dai $96M del 2013 ai $345M del 2014. Le sole Xapo ($40M), Bitpay ($30,5M) e Blockchain ($30M) hanno raccolto più di $100 milioni nel 2014.

Visto l’impennare vertiginoso di questi numeri, viene da domandarsi qual è la “rivoluzione” che si nasconde dietro questo trend? È nella moneta virtuale, il Bitcoin, che i venture capital hanno intravisto la “next Big Thing” o nella tecnologia che la rende possibile? Una premessa imprescindibile: ad oggi sono tantissime le critiche e gli scetticismi intorno a queste nuove tecnologie. L’obiettivo di questo articolo è quello di indagare dove si annidano gli entusiasmi e perché.

Facciamo un passo indietro. I Bitcoin sono una versione puramente peer-to-peer di denaro elettronico che permette di effettuare pagamenti online direttamente da un soggetto ad un altro, senza passare attraverso un istituto finanziario. Un sistema decentralizzato, dove le operazioni sono gestite collettivamente dal network, ma non per questo meno sicure .

Per la prima volta, un utente della rete può trasferire ad un altro utente una proprietà digitale esclusiva con certezza sull’esito positivo della transazione, senza intermediari.

Ok, una moneta virtuale. Ma quali possono essere le applicazioni che la rendono “rivoluzionaria”? Come sottolinea Marc Andreessen, noto venture capitalist americano, nel suo celebre articolo comparso sul New York Times (e di cui, a un anno di distanza, non cambierebbe “neanche una sola parola”, stando ad un suo recente tweet) il mercato potenzialmente più ricco per i Bitcoin è quello delle rimesse internazionali di pagamento.

Ma non solo. I Bitcoin possono far entrare un numero sempre più largo di persone nel sistema economico globale, come chi non ha a disposizione sistemi bancari e di fiducia.

Un terzo caso interessante è quello dei micropagamenti. Ad oggi le commissioni previste li rendono impraticabili. I bitcoin hanno l’incredibile peculiarità di essere divisibili all’infinito e proprio per questo potrebbero avere molti usi diversi: basti pensare alle implicazioni dei micropagamenti nella lotta contro lo spam (accetto mail solo se accompagnate da un bitcoin), al mondo dell’editoria (una modalità per rendere a pagamento i contenuti editoriali online), alla raccolta fondi di movimenti di protesta.

Ma quale tecnologia garantisce l’efficacia e la sicurezza di questo genere di trasferimenti? In cosa consiste il “sistema decentralizzato”? Cosa ci assicura che la transazione non venga contraffatta, chi verifica l’identità di chi è coinvolto senza rendere necessaria l’intermediazione di un’autorità centrale e chi ci assicura che la stessa moneta non venga utilizzata più di una volta?

Qui entra in gioco il Blockchain, il registro pubblico e non anonimo che contiene tutte le transazioni di Bitcoin effettuate nel corso della storia. Si tratta di una sorta di libro mastro condiviso, dove attraverso un complesso sistema di crittografia, vengono verificate l’identità di chi è coinvolto, il messaggio che trasmette e la sua integrità. Ed è decentralizzato, condiviso da tutti gli utenti.

È proprio per queste sue caratteristiche che i fautori del Blockchain vedono nel Bitcoin solo una delle forme di “proprietà intellettuale” che possono essere scambiate tramite questo sistema: le firme digitali, i contratti digitali, le chiavi digitali (per le serrature materiali o per le casseforti online), la proprietà digitali di beni fisici come automobili e case, le azioni e le obbligazioni, sono solo alcuni esempi delle proprietà scambiabili tramite questo sistema. “Il Bitcoin è l’email, il blockchain è il protocollo (HTTP)”, afferma Joichi Ito, direttore del MIT Media Lab.

Come spiegato in un recente articolo del giornalista americano Scott Rosenberg, l’obiettivo del Blockchain è proprio quello di sostituire i server che oggi “sostengono” il mondo online fornendo il potere di calcolo e di stoccaggio. Chi si fa da garante dell’identità online e dell’integrità dei contenuti scambiati e in cambio di cosa? Ad oggi, le aziende e i governi sono le autorità che accertano le transazioni, gli intermediari imprescindibili che garantiscono la veridicità e l’affidabilità di ciò che si scambia online.

Stiamo parlando di Amazon, Apple, Facebook, Google, Microsoft, Netflix, Twitter, Yahoo! — per citarne alcune — che si fanno garanti delle nostre identità digitali a patto di ottenere i nostri dati. Con la Blockchain, la legittimità delle transazioni (di moneta, informazioni, identità, servizi) è garantita collettivamente. La nostra intera esistenza online potrebbe essere disintermediata da progetti che si basano su una tecnologia di questo tipo, che permette di verificare l’identità di chi vi collabora senza per questo obbligarci a cedere la proprietà dei dati che trasmettiamo (alcuni pionieri sono ad esempio Twister e Trsst).

Gli entusiasti si aspettano che questa innovazione detonerà un Big Bang di nuovi mercati, più sicuri e decentralizzati. Ad esempio? Oltre ad immaginare la disintermediazione del sistema finanziario e bancario , la decentralizzazione del mercato azionario o i processi di quotazione in borsa, i fautori del Blockchain dipingono un mondo in cui entità autonome si sostituiscono a governi ed aziende. Nuovi servizi di cloud storage, governance o gestione di servizi affidati oggi ai governi (come la registrazione di terre, vediAmin Rafiee) fino a database di nuova generazione o nuovi marketplaces, come suggerisce il venture capitalist Fred Wilson.

Nonostante alcune di queste possibili applicazioni costituiscano ad oggi solo un mero “sistema concettuale” in fermento, su cui centinaia di programmatori trascorrono giornate di lavoro, la “killer app” del Blockchain, i Bitcoin, è realtà ormai da diversi anni. Ed è una realtà da 23 miliardi di dollari.

 

Articolo di I. Serafica ripreso da linkiesta.it