Un trust fittizio non protegge i debitori dal pignoramento

A tutela dei crediti dello Stato, nell’ambito di un procedimento per i reati di bancarotta fraudolenta, può essere disposto il sequestro conservativo (ex articolo 316 cpp) dei beni immobili conferiti in un trust familiare simulato (sham trust), a prescindere dall’esperimento vittorioso di un’azione civile che accerti e dichiari la simulazione deltrust stesso o che ne revochi i conferimenti.
Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con la sentenza 46137 del 7 novembre 2014.I fatti di causa
Con ordinanza del 14 marzo 2014, il tribunale di Parma ha rigettato la richiesta di riesame e ha confermato il sequestro conservativo disposto dal Gip e avente a oggetto sei fabbricati conferiti a un trust, istituito nel febbraio 2008 dal signor Tale, indagato per diversi reati (di concorso in bancarotta fraudolenta patrimoniale in relazione a operazioni dolose, concorso in bancarotta fraudolenta documentale, concorso in bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione) contestati in relazione al fallimento, poi dichiarato nel 2012, di due Srl da lui stesso amministrate.
In particolare, con riferimento alla pignorabilità dei beni, il Tribunale ha condiviso la declaratoria di nullità dell’atto costitutivo dello sham trust, ossia di un trust fittizio, improduttivo dell’effetto segregativo proprio dell’istituto, poiché la qualifica di trustee e di beneficiario (insieme ai familiari) era rivestita dall’imputato e dalla madre, entrambi titolari originari dei beni conferiti.

L’imputato, tuttavia, ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando:

  • violazione di legge (articoli 316 e 325 cpp; articolo 194 cp; articolo 11, Convenzione dell’Aja dell’1 luglio1985; articoli 602 e seguenti cpc), in quanto i beni sottoposti a sequestro non erano collegati al procedimento penale e le finalità di tutela del credito erariale sussistevano nei confronti dell’imputato e non del trust
  • ulteriore violazione di legge (articolo 2, Convenzione dell’Aja dell’1 luglio 1985), poiché i giudici hanno incidentalmente ritenuto invalido/inefficace l’istituto in ragione di una coincidenza tra disponente e beneficiario, senza compiere ulteriori azioni.

La Corte ha affermato, con la sentenza in esame, che “dalle indagini preliminari è… risultata la piena trasparenza della finalità elusiva … della costituzione del trust. Tale operazione è stata posta in essere in maniera evidente come mero espediente per creare un diaframma tra patrimonio personale e proprietà costituita in trust, con evidente finalità elusiva delle ragioni creditorie di terzi, comprese quelle erariali”.

Osservazioni
La Cassazione ha confermato la misura cautelare sia perché, con riferimento al concetto di beni mobili e immobili dell’imputato ex articolo 316 cpp, rileva non la loro formale intestazione ma che l’imputato ne abbia la disponibilità “uti dominus,” indipendentemente dalla titolarità del diritto in capo a terzi (Cassazione, sentenze 41670/2014 e 21621/2014), sia perché è irrilevante la pertinenza dei beni ai reati contestati, dato l’esclusivo fine di garanzia patrimoniale costituente uno dei presupposti della misura cautelare (Cassazione, sentenza 805/2013), sia, infine, perché il comportamento sleale deltrustee ha dato fondamento a un giustificato giudizio prognostico negativo in ordine alla conservazione delle garanzie patrimoniali del debitore nei confronti dello Stato (già sostenitore della spesa di circa 955mila euro per la consulenza tecnica disposta dal Pm, rispetto al valore catastale degli immobili).

La Corte perviene a tale conclusione elencando le finalità elusive emerse in modo chiaro nel corso delle indagini preliminari tanto da ritenere superfluo un ulteriore e apposito accertamento giudiziale relativo alla formazione elusiva del trust. È stato accertato, infatti, che quest’ultimo è stato costituito con atto istitutivo depositato presso l’ufficio Entrate di Parma in un contesto temporale in cui le società fallite, delle quali il ricorrente era amministratore, si trovavano in una situazione di dissesto occultata, senza giustificazione, ai beneficiari del trust. Questa circostanza quindi, era da considerarsi come una prima conferma della volontà del disponente di mantenere il pieno dominio dei propri beni e soprattutto di sottrarli alle eventuali pretese dei creditori fallimentari.
Di tale intento costituivano ulteriori indizi sia l’indicazione dei beneficiari (la famiglia della madre e del signor Tale, i suoi componenti, anche se residenti in luoghi diversi, e i loro discendenti in linea retta) sia il conferimento dei sei beni immobili, poi sequestrati, da parte del signor Tale e della madre (marzo 2008).

Alla luce di questi fatti, i giudici di piazza Cavour hanno affermato la piena legittimità del provvedimento cautelare sui predetti beni. In modo coerente con il consolidato orientamento interpretativo di legittimità (Cassazione, sentenza 13276/2011), secondo il quale “il trust, tipico istituto di diritto inglese, si sostanzia nell’affidamento ad un terzo di determinati beni perché questi li amministri e gestisca quale ‘proprietario’ (nel senso di titolare dei diritti ceduti) per poi restituirli, alla fine del periodo di durata del trust, ai soggetti indicati dal disponente. Presupposto coessenziale alla stessa natura dell’istituto è che il detto disponente perda la disponibilità di quanto abbia conferito in trust, al di là di determinati poteri che possano competergli in base alle norme costitutive. Tale condizione è ineludibile al punto che, ove risulti che la perdita del controllo dei beni da parte del disponente sia solo apparente, il trust è nullo (sham trust) e non produce l’effetto segregativo che gli è proprio”.

La Corte ha dato atto che, nella fattispecie sottoposta al suo esame, la situazione di mera apparenza, causa di radicale nullità civilistica, è stata correttamente valutata dal giudice della cautela. Al di là delle forme, infatti, il signor Tale, nella qualità di trustee (cioè amministratore), continuava ad amministrare i beni, conservandone la piena disponibilità. Il suo ruolo di primario protagonista gli era stato riconosciuto anche dal Tribunale, evidenziando che, nei rapporti con i terzi, agiva non come rappresentante del trust, privo di autonomia e personalità giuridica, ma come soggetto che disponeva del diritto (Cassazione, sentenza 28363/2011).

Articolo a cura di Romina Morrone – fonte: fiscooggi.it