La Robin Tax, secondo Carlo Stagnaro su Chicago Blog, potrà solo contribuire a danneggiare ulteriormente l’economia italiana. Urge rivederla.
Quando, tra le pieghe della manovra correttiva, è spuntata l’addizionale di 4 punti percentuali alla Robin Tax, con la sua estensione a reti e rinnovabili, credevo avessimo toccato il fondo. Poi è venuta fuori l’idea ancora più assurda di applicare l’imposta ad altri settori regolati, quali telecomunicazioni e autostrade. Adesso siamo ben oltre il fondo del barile: sembra che verranno proprio dalla Robin Tax i fondi con cui il governo intende comprare il via libera degli enti locali.
Copio dalla relazione tecnica relativa all’emendamento governativo che ha lo scopo di “girare” sugli enti locali il tesoretto di 1,8 miliardi di euro atteso dalla Robin Tax:
Il decreto legge [originale] prevede che tali maggiori entrate, derivanti da modifiche dell’addizionale Ires prevista dall’art.81, commi 16-18 del decreto legge n.112/2008 [la Robin Tax], possano essere destinate alla riduzione fino al 50 per cento degli interventi inerenti, rispettivamente, gli obiettivi di contenimento della spesa sia dei ministeri, di cui al comma 1 dell’articolo 1, sia degli enti territoriali, di cui al comma 8 dell’articolo 1. La disposizione in esame modifica le suddette misure percentuali, eliminando la quota destinata agli interventi sui ministeri e prevedendo di conseguenza l’integrale destinazione delle maggiori entrate alla riduzione delle suddette misure relative agli enti territoriali.
Che c’è di male? Ci sono almeno tre cose che non vanno, oltre alle critiche più generali già espresse dall’Ibl e, in una recente segnalazione a governo e parlamento, dalla stessa Autorità per l’energia.
1) L’addizionale di 4 punti introdotta dalla manovra è stata presentata come transitoria: in sostanza, il messaggio del Tesoro è stato che bisogna stringere i denti e passare la nottata. Essendo questo l’obiettivo, lo strumento è stato – sempre secondo il Tesoro – prendere i soldi dove ci sono e dove è più facile cavarli. Che questo abbia enormi controindicazioni, inclusi i danni diretti e indiretti ai consumatori e attraverso essi alle prospettive di crescita economica, non è evidentemente un tema di interesse del ministero.
Personalmente non ho mai creduto alla presunta natura transitoria del tributo, ma adesso l’inganno davvero non regge: se il gettito di un’imposta serve a coprire spesa corrente (centrale o locale poco conta), quel gettito sarà sempre necessario, in salute e in malattia, nella buona e nella cattiva sorte. Dunque quell’imposta è destinata a rimanere scolpita nel nostro sistema tributario e, poiché noialtri dell’Ibl siamo dei cinici sospettosi e malfidenti, nei fatti prelude a un aumento generalizzato, settore per settore, della tassazione sul reddito d’impresa, come aveva commentato a caldo Alberto Mingardi. Per questo trovo che l’assurda guerra lobbistica che si è scatenata – energetici contro telefonici e infrastrutture – sia quanto di più dannoso potesse accadere.
2) Una delle cose positive della congiuntura attuale è che l’obbligo alla responsabilità fiscale poteva essere un grande volano per un federalismo concretamente attuato: i tagli ai trasferimenti, nella pratica, equivalevano a mettere i comuni con le spalle al muro, costringendoli a scegliere tra nuovi tributi o minori spese, e dunque responsabilizzarli. Tornare a finanziare gli enti locali con un tributo nazionale è un tradimento di questa evoluzione che rende perfino peggiore la sostanza della manovra.
3) Una buona parte delle imprese colpite sono municipalizzate, il cui azionista unico o largamente maggioritario è il comune. Queste imprese possono tranquillamente riversare il maggior onere fiscale in una riduzione dei dividendi, lasciando il comune azionista in condizioni di assoluta indifferenza rispetto alle entrate (in media). Le imprese private, invece, non possono permetterselo, perché devono comunque remunerare gli azionisti.
In prospettiva, questo significa che fare impresa privata nel settore dell’energia sarà sempre meno conveniente non solo in assoluto (cioè rispetto allo stesso settore in altri paesi o ad altri settori in Italia), ma addirittura in termini relativi: la Robin Tax avrà un effetto diseguale su imprese pubbliche e private e, pertanto, ha una natura profondamente anticompetitiva.
Va da sé che la riduzione della concorrenza attuale e potenziale si tradurrà, in un circolo perverso, in un aumento dei prezzi per i consumatori, e avrà un effetto – in senso lato – fiscale essa stessa, rendendo possibili extraprofitti per le imprese pubbliche e quindi dividendi relativamente più alti (rispetto al livello “normale”) per i comuni azionisti.