Un articolo critico sulla capacita’ della Germania di adattarsi ad una nuova visione dell’Euro e dell’Europa

Un articolo molto interessante questo che vi proponiamo, cari lettori. Una volta tanto non si parte da una soluzione per i problemi economici cercando di dimostrarla, ma si parte dalla constatazione che i tedeschi hanno sempre fatto molto fatica ad adattarsi ad un mondo in costante cambiamento (e su questa affermazione dell’autore dell’articolo non ci stupiamo granche’) e che da questo nascono tutti i problemi che potrebbero impedire alla BCE di trasformarsi in quello strumento necessario per coprire il deficit degli stati europei. Tutto da leggere insomma.

Le istituzioni funzionano come forze d’inerzia, che seguono sempre il medesimo iter. Ciò genera fiducia nei risultati del loro operato. Dal canto loro, esse detestano l’incertezza e mal si adattano ai cambiamenti. Spesso ciò provoca dibattiti e discussioni sulla loro ragion d’essere. A che cosa servono, per la precisione? Questa domanda se l’è posta anche Jürgen Stark, che il 19 settembre si è dimesso dalle sue mansioni di capo economista della Banca centrale europea.

La Bce è sempre stata considerata figlia legittima della Bundesbank, interamente dedita alla stabilità monetaria. Jürgen Stark aveva un punto di vista ben preciso sul fatto che la Banca centrale acquisti grandi quantità di titoli di stato di paesi indebitati fino al collo: “Nell’attuale situazione, una politica finanziaria rigorosa dovrebbe avere molteplici ricadute positive sulla fiducia, cosa che confermano studi di settore: ambiziosi programmi di aggiustamento si accompagnano rapidamente a effetti positivi sulla crescita”. In sostanza, Jürgen Stark proponeva di fare economia. E questo è tutto.

Considerato da questa prospettiva, il sistema finanziario altro non è che il corrispettivo monetario dell’economia reale. I cittadini risparmiano e le imprese investono. È soltanto a queste condizioni che la riduzione della spesa pubblica può avere, sul lungo periodo, ricadute positive.

Ma è ancora questo il mondo in cui viviamo? Il problema greco è ben diverso. Il ciclo economico dipende dalle entrate disponibili e dagli investimenti, che siano dello stato o del settore privato. Se tutto il mondo stringe la cinghia nel medesimo momento, l’economia entra in una spirale recessiva. I greci sono sempre più poveri. Tuttavia – e di conseguenza – sono sempre più indebitati. La Grecia per altro non è più un caso isolato: la zona euro e l’economia mondiale sono oggi minacciate da un vero contagio. Tutti cercano di adattarsi, dichiarava Jürgen Stark. Ma a che cosa? Nell’industria automobilistica o metallurgica, per esempio, ci sono nuove tecnologie o grandi industrie in cattivo stato? La Cina ha già battuto tutta la sua concorrenza? Assolutamente no.

Il problema non sta tanto nelle trasformazioni dell’economia reale, bensì nella volontà di garantire che gli interessi sul debito accumulato dal sistema finanziario in questi ultimi quindici anni siano pagati, e ciò riguarda anche i debiti di stato. Si tratta dell’ultima bolla in ordine di tempo di un sistema malsano. Gli stati non possono ridurre il loro indebitamento se non cercano di pagare gli interessi sul debito passato, a discapito del presente. Ai vecchi debiti si sostituiscono sempre nuovi debiti. Il ripianamento, quindi, è possibile solo ed esclusivamente se lo stato spende meno possibile in fase di crescita. Ecco dunque la spina nel tallone d’Achille tedesco: Jürgen Stark intendeva finanziare i consumi di ieri – il debito – con i consumi di oggi.

Ma la Grecia non è l’unico paese a dare problemi. Ormai tutti i paesi occidentali sono in crisi o sul punto di entrarci. Se tutti i paesi pareggiassero il loro bilancio nello stesso momento si ritroverebbero tutti nella medesima situazione, ovvero alle prese con l’aumento delle spese dovuto all’aumento della disoccupazione, con la riduzione delle entrate e con investimenti a mezz’asta. Sarebbe la crisi totale.

Vivere nel passato

Perché facciamo tutto ciò? Non per procedere ad aggiustamenti strutturali dell’economia reale, ma perché nel frattempo persone come Stark hanno deciso che il nostro indebitamente era troppo elevato e che dovremmo abbassarlo. Ma abbassare il debito in questo modo non porta a nulla: è per questo che gli investimenti sono a un punto morto. In effetti, le imprese investono soltanto se intravedono dei potenziali benefici o se lo stato si sostituisce agli investitori durante la crisi. Ma lo stato non deve investire: deve consolidare le finanze del paese.

Il processo di autodistruzione finisce coll’impossessarsi dell’economia nel suo complesso. Senza fiducia, il sistema crolla. Ecco che cosa ci aspetta in futuro. Che cosa voleva Stark, e con lui molti tedeschi? Una Bce che abbia la propria ragion d’essere in un obiettivo diventato illusorio da tempo: impedire agli stati di andare in bancarotta per mezzo di una politica di stabilità. Questa missione è palesemente impossibile. Queste persone vivono in un mondo di illusione, in un passato remoto.

Essendo la prima potenza economica del continente, la Germania è ormai l’unica a poter garantire la fiducia nelle capacità dell’Unione. Un fallimento della Grecia sarebbe possibile soltanto se si garantisse nello stesso tempo che altri paesi della zona euro non andranno incontro al medesimo destino. Ma è poco probabile: i tedeschi molto semplicemente non hanno la fermezza necessaria. Preferiscono credere alla ragion d’essere di un’istituzione che da tempo si è dissolta nel nulla. È anche vero, del resto, che i tedeschi hanno sempre fatto fatica ad adattarsi a un mondo in costante evoluzione.

Articolo ripreso da Presseurop.eu