Guardo con una certa preoccupazione questo momento di startup e new economy. Se dovessi paragonarlo ad un altro periodo socio finanziario – un po’ preoccupante – sceglierei quel “meraviglioso” momento nel quale yuppie e speculazioni di borsa parevano l’unica via per raggiungere la pax sociale e risolvere tutti i problemi dell’umanità.
Ne venne fuori un momento di straordinaria avidità umana e un galoppo singolo nel quale tutti si prodigavano, godendo magari delle speculazioni spagliate degli altri oppure facendo passare per risultati di studi finanziari scientifici d’alto livello delle vere e proprie botte di culo casuali tra Stet, Italcable, Sabaudia, Cir. Era il periodo in cui i calendarietti profumati sui tavolini dei barbieri vennero sostitui da Il Sole 24 Ore e Gente Money.
Durante quei giorni in cui perfino le pensionate insistevano fuori dalle banche a guardare i monitor delle quotazioni che i solerti impiegati avevano messo in vetrina come moderni “butta dentro”. Allora erano gufi coloro i quali avvisavano dell’imminente scoppio della bolla speculativa, tutti si sentivano nobili vampiri succhia sangue alla Gordon Gekko e pochi si immedesimarono nel padre di Bud Fox che, nello stesso film, rischiò di perdere il lavoro a causa di una delle scalate speculative di Gekko farcite da una serie di mosse fuori dalla legge.
Nei giorni scorsi è circolata sui social una slide che ha esaltato molti e che dentro di me ha provocato sconcerto e preoccupazione. Si, lo so, sono un vecchio conservatore, fuori dal tempo, che rifiuta di comprendere le nuove dinamiche di mercato, per giunta anche un po’ dietrologo.
Secondo voi, qual è l’azienda migliore tra le due? WhatsApp o Vodafone? E’ meglio un’azienda che con soli 55 dipendenti esprime un valore di 19 miliardi di dollari con una resa per impiegato di 345,5 milioni di dollari oppure un’azienda che distribuisce mediamente oltre 92 mila stipendi al mese? Se dovesse chiudere una delle due aziende quali diverse ripercussioni si avrebbero? A tutte queste domande si può rispondere sentendosi imprenditori – quelli della new economy, quelli dell’economia così nuova che senza i soldi delle banche vecchie che più vecchie non si può non farebbero un passo – oppure sentendosi persone che lavorano, magari che hanno abbandonato l’idea di poter diventare lo Steve Jobs di turno e lo Steve Kaufer del momento, di quelli che non abbocano più a quelli che “fallire è bello”, “buttatevi”, “rischiate” (spesso i muri della casa dei genitori), una sorta di inno del tipo “armiamoci e partite”. A quelli che i giovani dentro le startup sono un po’ come gli animatori, per un Fiorello ci sono migliaia di giovani a 400 euro/mese a far sorridere i vacanzieri.
Dall’economia dello scambio, a quella della condivisione che, dal nome, parevano più azioni sociali che economiche mi pare che sia sia nell’economia dell’egoismo, della voglia di essere spesso più per botta di culo che per capacità tra quei 55 o meglio il capo di quei 55 piuttosto che uno dei 92812 dipendenti della Vodafone.
Non mi importa da che parte state, se siete con Gekko e con Buddy ma, come spiega Ricolfi oggi su Il Sole 24 Ore: “L’eventuale risveglio della produttività è solo una condizione necessaria alla ripresa del Paese. Se questo risveglio dovesse avvenire senza un robusto aumento dell’occupazione e del Pil , o peggio ancora dovesse avvenire mediante una drastica riduzione dei posti di lavoro quel risveglio si risolverebbe in un ricupero di competitività di una parte dell’apparato produttivo, ma non sarebbe in grado di tradursi pienamente in un innalzamento del benessere di tutti: salari più alti, migliori posti di lavoro, aziende più dinamiche e moderne, opportunità lavorative per i giovani“.
Ho paura che questo schierarsi da una parte o dall’altra non porti a niente, credo che si debba puntare anche al compito sociale delle aziende e all’obiettivo di redistribuire in ogni modo i capitali, ché il capitalismo senza redistribuzione è il sistema economico più crudele che possa esistere. Se poi la vostra ambizione è quella di vedere il vostro nome nella lista dei Panama Papers allora mi taccio. Ma resta la speranza che finalmente possa accadere qualcosa di concreto che punti “all’innalzamento del benessere di tutti” piuttosto che “nel ricupero di competitività di una parte dell’apparato produttivo”.
Testo ripreso dal blog irresponsabilecommerciale su wordpress.com