Pubblichiamo e sottoscriviamo il comunicato della Commissione Europea del 12 marzo pubblicato con un titolo molto preciso: “Insolvenza: la Commissione raccomanda un nuovo approccio per salvare le imprese e dare una seconda opportunità agli imprenditori onesti“.
Rivedere la normativa aiuta tutti
Appellarsi ai governi nazionali perché promuovano una legislazione più favorevole per le imprese che vogliono ristrutturare e ripartire è il minimo che si possa chiedere di fronte a quelle 200.000 imprese che dichiarano insolvenza e a quel milione e settecentomila posti di lavoro bruciati.
La Commissione è arrivata a questa esortazione dopo avere studiato il fenomeno dell’insolvenza nei vari paesi europei e giudicato insufficiente l’impianto normativo che favorisce la ristrutturazione delle imprese insolventi ma sane. Un tema che è stato svolto in più di un’occasione su queste pagine e nel quale l’Italia continua a non svettare per la sua normativa che penalizza e rende difficili le ristrutturazioni, anche con quella legge fallimentare ritoccata più volte con risultati spesso opposti all’obiettivo di facilitare la gestione delle crisi. Migliorare ‘il contesto per i creditori che, se il debitore non va in rovina, sarebbero in grado recuperare una percentuale più elevata dei loro investimenti.’ tocca molto da vicino anche il sistema bancario che senza quei 160 miliardi di sofferenze starebbe decisamente meglio.
Imprenditori onesti e disonesti
Qualcuno su twitter ha subito ironizzato sulla definizione di imprenditore onesto, dando una patente di vuoto moralismo al tentativo della Commissione di operare quella “distinzione che contribuirebbe a eliminare la discriminazione nei confronti di quegli imprenditori che hanno fatto fallimento non fraudolento, che potranno quindi beneficiare delle misure di sostegno presenti sul mercato per avviare una nuova impresa.” Personalmente trovo l’ironia sull’onestà degli imprenditori triste e pericolosa, perché credere che qualsiasi imprenditore italiano sia disonesto per definizione è una delle cause che ci hanno portato a penalizzare il fare impresa in Italia in modo esagerato.
Per esperienza posso garantire che non è così difficile distinguere un imprenditore che considera la ristrutturazione una seconda vita aziendale, anche nell’interesse dei lavoratori che spesso conosce personalmente (evidente che non mi sto riferendo alla grande industria). Altri tipi di imprenditori (ne ho conosciuti diversi) nelle procedure concorsuali cinicamente vedono (o sono indotti a vederlo da professionisti specializzati nel raggiro) un facile stratagemma per disfarsi legalmente e alla grande dei debiti contratti nella prima vita. Il comportamento piratesco e spregiudicato di una minoranza ha finito per squalificare l’intera categoria al punto tale che oggi anche un imprenditore ‘normale’ deve sopportare sospetti e lezioni morali dai bancari sulla pratica dilagante della doppia fatturazione (reato penale per chi ancora non lo sappia), oppure fronteggiare richieste di garanzie che hanno ben poca ragionevolezza se il credito si chiama ancora credito.
I casi pratici a cui assisto in questo periodo mi confermano l’esistenza di un muro di gomma, non scritto ma praticato, che priva del credito qualsiasi imprenditore passato per la gogna dell’insolvenza, anche coloro che hanno utilizzato le procedure concorsuali in modo corretto e trasparente per portare in salvo almeno una parte della propria azienda. Paradossalmente per la banca va tutto bene quando nella nuova impresa si utilizza furbescamente la finzione di utilizzare finti soci e finti amministratori. La forma prevale sulla sostanza e sulla responsabilità di esprimere un giudizio sulle persone e sui fatti.
Purtroppo non si può neppure dare torto a chi vede malizia nella categoria degli imprenditori, perché la maggioranza continua a non pagare le fatture quando dovrebbe pagarle, firma contratti con leggerezza senza assumersi l’impegno morale e pratico di avere le risorse per onorarli, specula sui fornitori. La catena del ritardo di pagamento si trasmette con rapidità a cerchi concentrici per colpa di questa categoria di furbi e disonesti che talvolta inciampano nella loro stessa furbizia.
Separare i problemi
Tuttavia è nostro dovere non fare di un’erba un fascio e distinguere i due problemi: su trasparenza dei bilanci e puntualità dei pagamenti un’intera classe imprenditoriale è colpevole di non avere saputo o voluto darsi un codice di comportamento e oggi chi più chi meno ne subisce gli effetti.
Invece la ristrutturazione delle imprese sta su un piano diverso: è uno stato straordinario del ciclo di vita di un’impresa, è un’assoluta necessità in questo momento storico. Perciò la trasformazione dell’impianto legislativo suggerita dalla Commissione EU insieme alla sottoscrizione di protocolli di comportamento, come quelli che la Regione Lombardia attraverso la Rete di Assistenza alle Imprese in Difficoltà (RAID) sta cercando di portare sul tavolo dell’ABI sono solo atti di grande buon senso, magari tardivi ma ancora appropriati.
Articolo di Bolognini Fabio, ripreso da linkerblog.biz
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