Una startup innovativa chiude, non fallisce. Vi raccontiamo una esperienza reale.

Il termine inglese failure ha un’accezione che spesso la traduzione italiana fallimento tende a perdere, soprattutto in ambito imprenditoriale, e cioè il significato di ‘errore di valutazione’, ‘sbaglio commesso’, ‘esito negativo’, ma non per questo catastrofico. L’italiano considera il fallimento sinonimo di bancarotta, di catastrofe senza risarcimento o ripresa possibile, perdendo così quell’elemento dicrescita e trasformazione che l’errore e lo stesso fallimento portano con sé.

La storia di Damiano Congedo e di APPEATIT parla, secondo noi, proprio di questo: di fallimento come consapevolezza, maturità e coraggio di cambiare. Gli abbiamo chiesto di raccontarcela per aiutare altri giovani e aspiranti imprenditori a capire quali sono gli errori più comuni che si finisce per commettere, e quando diventa chiaro che è necessario staccare la spina.

Ciao Damiano: ci racconti in due parole come è nata APPEATIT?

D.C. APPEATIT è nata da un’esigenza mia e di Marco Clemenza perché, trovandoci spesso in giro per lavoro, non avevamo il tempo per pranzare con calma al ristorante. Dopo aver studiato alcune ricerche di mercato e aver intervistato centinaia di lavoratori, ci siamo resi conto che questo era, ed è tuttora, un problema diffuso e sentito.

Per questo motivo abbiamo pensato a una soluzione che potesse permettere ai lavoratori di prenotare la propria pausa pranzo al ristorante, trovando tutto pronto in tavola all’ora stabilita, così da godersi il pranzo senza attese, in relax.

Quali sono stati i momenti più entusiasmanti e i traguardi più importanti nella vostra avventura?

D.C. Eh, bella domanda! Ce ne sono stati tanti che meriterebbero di essere citati, però ne scelgo tre a cui sono più legato.

La selezione al girone del WBF perché abbiamo sentito che qualcuno credeva in noi e nella nostra idea, e che ci ha permesso di intraprendere un percorso di crescita professionale e del progetto.

Il giorno del lancio del nostro servizio. Fu una lunga maratona, anche notturna, di lavoro da parte di tutto il team, al quale mi aggiunsi dopo un volo intercontinentale da San Francisco. La mattinata e la pausa pranzo successive furono davvero agitate per seguire tutti gli early adopters che provarono il servizio!

Infine il giorno del primo Investor Day, il giorno in cui LVenture ci comunicò che avrebbero investito in noi. È stata la tappa che ci ha fatto capire di aver raggiunto la maturità professionale, eravamo pronti per diventare imprenditori.

Alla luce della tua esperienza, che consigli puoi dare a chi vuole fondare una startup in Italia?

Sarò banale: team, team, team. E ne uso già tre. Mettete su un team all’altezza, professionale, non improvvisatevi. Servono competenze, non è un gioco, non è un progetto tra amici. Scrivere su LinkedIn“CEO di..” non vi rende un CEO, è ciò che fate che vi dà diritto di affibbiarvi un ruolo e lo dovete fare con disciplina e abnegazione. Il valore iniziale di una startup è il suo team: quindi volete lottare per lo scudetto o per non retrocedere in Serie B?

Siate maledettamente curiosi. Leggete, chiedete consigli, non rifiutate mai due chiacchiere con qualcuno, non sapete mai cosa può nascere da un caffè o da una Skype call.

Non sentitevi arrivati quando raggiungete un importante obiettivo come la prima vendita, il primo investimento e così via. Siate contenti, ma sappiate che per raggiungere il successivo obiettivo sarà necessario maggiore impegno. Avete imboccato la strada giusta, adesso bisogna percorrerla.

Veniamo alla chiusura di APPEATIT, quando è arrivata la consapevolezza che era il momento di fermarsi?

D.C. Benché chi mi conosce sa che parlo di questa decisione con il sorriso, è stata una decisione sofferta e maturata a partire da aprile. Ci eravamo dati degli obiettivi di crescita per i primi 6 mesi del 2015 che non sono stati raggiunti.

Siamo stati bravi nel corso del secondo semestre del 2014 a stringere accordi per diverse sperimentazioni con importanti aziende, ma non tutto è andato come previsto dai piani.

È stata una decisione che il team ha preso di comune accordo?

D.C.  Direi proprio di sì. Dopo giugno ci siamo ritrovati con in mano una tecnologia valida, ma senza più dei clienti a cui venderla o con cui sperimentarla. Ci siamo resi conto di essere tornati indietro di quasi due anni e qualcosa questo voleva dire.

Che eredità ti ha lasciato l’esperienza di APPEATIT e che piani hai per il futuro?

D.C. Sono già ripartito con una nuova start­up, Fantaville.com, e grazie al know how maturato con APPEATIT la crescita del progetto sta accelerando in modo incredibile.

Ho anche il piacere e l’onore di lavorare come docente per un master universitario e come digital strategist all’interno del Clhub, un network di professionisti di cui si sentirà parlare molto nei prossimi mesi.

APPEATIT è stata una tappa decisiva della mia carriera professionale. In due anni sono convinto di aver maturato un’esperienza che in altre circostanze avrei acquisito in molto più tempo. Non solo, grazie ad APPEATIT ho potuto instaurare relazioni, anche oltre l’aspetto lavorativo, con professionisti meravigliosi con cui continuo scambiarmi feedback e a sentirmi ancora oggi.

Grazie Damiano e in bocca al lupo!

 

Articolo ripreso da windbusinessfactor.it/news-eventi/startup-e-finanza/startup-capire-quando-chiudere/28095